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Si parta dalla sentenza della Corte per una legge liberale sul fine vita

di Gianfranco Spadaccia

La sentenza della Corte Costituzionale sul caso Fabo-Cappato è molto importante. Non conosciamo ancora il testo e le motivazioni ma già il dispositivo ci dice che è una sentenza fortemente innovativa, in Italia letteralmente rivoluzionaria. Naturalmente non ci si poteva e doveva attendere dalla Corte un intervento legislativo su eutanasia e suicidio assistito perché questo non era e non è il compito della Corte. Essa giudica infatti a partire da un caso concreto: l'assistenza fornita a chi, nell'impossibilità di provvedervi da solo, decide di porre termine alle proprie sofferenze e chiede ad altri assistenza.

È stato il caso di Fabo che chiese aiuto a Cappato e alla Associazione Luca Coscioni. Tuttavia, pur giudicando a partire da un caso concreto, le decisioni della Corte hanno un valore e una applicazione generale, di cui deve tener conto lo stesso Parlamento.

La sentenza della Corte ha stabilito infatti con questa sentenza un principio che è insieme di tolleranza, di libertà e di autodeterminazione di cui non si potrà non tenere conto in tutti i trattamenti di fine vita, che non a caso sono espressamente richiamati. D'ora in poi non potrà più accadere ciò che accadde a Piergiorgio Welby che dovette lottare per ricorrere alle norme sul consenso informato e sulla sospensione delle cure che sono espressamente previste dalla Costituzione e da un trattato internazionale sottoscritto dallo Stato italiano. E non potrà più accadere ciò che accadde a un coraggioso anestesista, il dott. Riccio, che gli assicurò la sua assistenza medica e fu per questo sottoposto a processo: fu assolto ma per coloro che avevano accusato di omicidio il padre di Eluana Englaro poteva (anzi doveva) essere condannato (e lo sarebbe stato se avesse incontrato un giudice che la pensava come loro).

Non potevamo attenderci dalla Corte ciò che non poteva darci. Nondimeno la Corte ha stabilito un principio e dato una interpretazione costituzionale che costituiscono un importante precedente in direzione di una più ampia liberalizzazione. E la liberalizzazione non è anarchia, non è in contrasto con il rigore del diritto, che stabilisce modalità, facoltà e limiti all’esercizio dei diritti dei cittadini.

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