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Perché sono importanti le parole del Papa sulle unioni civili gay

Di Ilaria Donatio

Da decenni, la Chiesa cattolica assume una posizione di pubblica condanna nei confronti degli omosessuali. Al tempo stesso, ha sempre continuato a sostenere che gay e lesbiche non debbano essere discriminati, riservando loro parole di accoglienza cristiana e incoraggiando dibattiti edulcorati e troppo teorici per avere il benché minimo effetto sulla vita delle persone.

Le gerarchie ecclesiastiche hanno sempre usato un doppio registro: l'omosessualità è insostenibile a livello ufficiale ma si può tollerare sul piano privato. Un doppio binario etico-pastorale che caratterizza tutti gli atti ufficiali del magistero della Chiesa e che diventò sempre più rigoroso all’indomani del Concilio Vaticano II, da cui scaturì una Chiesa assembleare, collegiale, aperta. Durò poco.

Ecco perché sono importanti le parole di Papa Francesco, così come le ha pronunciate nel documentario Francesco, presentato ieri al Festival di Roma e riferite dalla Catholic News Agency: «Gli omosessuali hanno il diritto di far parte di una famiglia […] Quello che dobbiamo fare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente».

Sono importanti perché non siamo di fronte a una dichiarazione general generica sui gay (una roba del tipo “non dobbiamo discriminarli, sono figli di Dio, sono come noi”) ma a una riflessione specifica sui loro diritti - “copertura legale”, “matrimoni civili” - espressa dal rappresentante più alto della Chiesa cattolica che non parla ai propri fedeli, ma a tutto il mondo. Siamo di fronte, per il tramite del Papa, a una chiesa che ha smesso di parlare tramite la dottrina ufficiale - dottrina che ha corretto se stessa innumeroli volte, in tema di morale sessuale - e che, una volta tanto, resta con i piedi ben piantati nel mondo, abbracciando la sua concretezza e sporcandosene. Quel mondo su cui non ha mai smesso di influire, tuttavia. E questo è un elemento cruciale che condiziona il dibattito sul ruolo storico della Chiesa cattolica in un Paese laico per Costituzione.

Per questa ragione, liquidare le parole di Papa Francesco come banalmente “tardive” o peggio, come se fossero una delle tante esternazioni riferibili a un capo di stato straniero, è operazione ingenua oltre che priva di senso. Che siate non credenti, agnostici, laici o laicisti, occorre riconoscere un dato, che è “nudo”, non interpretabile nella sua storicità: la chiesa Cattolica è stata largamente responsabile dell’arretratezza (e dell’arretramento) nel campo dei diritti di cui, negli anni, l’Italia ha sofferto. Proprio perché ha sempre esercitato un enorme potere sulla politica e sulla morale. In entrambe, ugualmente compromessa nell’esercizio di quel potere.

Quando ho scritto, nel lontano 2010, Opus gay - un libro-inchiesta che intendeva documentare l'ipocrisia che si annida nelle dichiarazioni degli organi ecclesiastici ufficiali, ma che ha dato anche voce ai tanti omosessuali credenti, che di questa Chiesa, nonostante tutto, vorrebbero fare parte - eravamo lontanissimi dalla possibilità che un Papa potesse esprimersi in questo modo. Conoscevamo principalmente una "Chiesa dei no" che sollevava un inimmaginabile conflitto umano e spirituale nel suo popolo, quello (che esiste ed è assai numeroso, vi assicuro) dei gay e delle lesbiche credenti. Ma anche una Chiesa che finge di ignorare storie difficili e contraddittorie di moltissimi preti e suore omosessuali.

Per quel libro, intervistai la buonanima di Ernesto Chiavacci. Lui era il teologo “simbolo” del Concilio Vaticano II Ma la Curia era divisa e quei teologi - i teologi del Concilio - in un famoso articolo de Il Foglio, divennero “pornoteologi”. Chiavacci studiava la morale sessuale da una vita (fu tra i primi, nel 1981, a sostenere che il cambiamento di sesso dovesse diventare possibile anche ai fini dello stato civile). Ma Chiavacci, per dire, fu anche inquisito informalmente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede proprio sulla sua idea di rifondazione della teologia morale.

Quel pomeriggio, quando lo andai a trovare per l’intervista a Ruffignano (vicino Firenze), nel vedere questo teologo che aveva fatto la storia conciliare, diventato parroco di provincia, ebbi come un pugno allo stomaco. Io che dimentico tutto con troppa facilità, ricordo ogni secondo e ogni parola di quell’incontro. In particolare, ricordo una frase di Chiavacci che oggi assume un valore di premonizione: «Guardi, non si può andare contro duemila anni tanto facilmente, occorre aiutarla [la Chiesa, ndr] a comprendere. Il tempo della Chiesa si misura sull’eternità [(rise tanto]! Io credo che due gay "possano fare all’amore sul serio". E pian pianino ci arriveranno anche gli altri».

Aveva 84 anni. Era il 2010. Lui oggi non c’è più. Ma se avesse ascoltato le parole del Papa avrebbe commentato in fiorentino «ah, ci sono arrivati finalmente!».

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