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Perché parlare di genere significa parlare di economia

di Marina Rallo

Il periodo di crisi economica che stiamo vivendo e che continueremo a vivere deve essere una priorità per l’agenda politica, tuttavia le risposte che le Amministrazioni Pubbliche stanno fornendo sembrano improvvisate e provvisorie. Paradossale visto che, proprio nei momenti di crisi, bisognerebbe invece ricorrere a nuove metodologie, scientificamente efficienti, che possano offrire soluzioni durature. Per questo sembra oggi ancora più attuale parlare di gender mainstreaming.

La valutazione dell’impatto di genere è infatti un metodo di valutazione delle conseguenze che ogni scelta, attività politica ed amministrativa hanno sulla popolazione in base al genere di appartenenza.
Perché è importante questo metodo? Spesso i temi legati al genere sono visti come velleità, come una coccarda colorata che un partito può apporsi al bavero per avere consenso facile. È possibile, invece, dimostrare brevemente perché l’impatto di genere è anche un metodo economico funzionale per prendere decisioni più consapevoli ed addirittura più funzionali per la collettività.
Un semplice esempio? La prevenzione della violenza sulle donne. Attualmente il rapporto tra costi di prevenzione e le spese che l’Amministrazione deve sostenere qualora avvenisse la violenza è di 1 a 9. Ovvero: per ogni euro speso in prevenzione se ne risparmierebbero altri nove. Se non vogliamo parlare di diritti umani (perché i diritti delle donne sono diritti umani), se non vogliamo parlare del tema della violenza di genere in termini di giustizia ed equità, se questi temi vengono considerate “velleità”, allora parliamone in termini economici.

In un momento storico in cui il Paese si trova a dover affrontare gravi ripercussioni economiche dovute all’emergenza Coronavirus, sembrerebbe essenziale attuare metodi di valutazione economica più efficienti: come emerso dai dati riportati sulla violenza di genere, se l’Amministrazione attuasse il metodo di valutazione di impatti di genere potrebbe assicurare alle casse dello Stato un risparmio di nove volte maggiore. Eppure, il gender mainstreaming (di cui si parla dalla Conferenza di Pechino del 1995) non è un metodo particolarmente diffuso, soprattutto nei programmi dei partiti.
Ancora, alcuni studi dimostrano che un maggior tasso di occupazione femminile porterebbe ad aumentare il tasso di fecondità: investire nell’occupazione femminile significherebbe investire nell’aumento demografico del Paese. In quest’ottica, l’occupazione diventa incentivo alla maternità e non il suo deterrente. L’analisi di genere permetterebbe quindi di conoscere gli effetti secondari delle politiche occupazionali trovando soluzioni a numerose urgenze del Paese.

Questi sono solo alcuni degli esempi più intuitivi che permettono di cogliere le potenzialità della valutazione dell’impatto di genere: il genere è un fattore determinante delle scelte politiche e continuare ad ignorarlo precluderebbe soluzioni economiche e sociali efficienti.
Sembra dunque oggi essenziale parlare di gender mainstreaming: l’attenzione all’impatto di genere può ed anzi deve divenire metodo decisionale standard. L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ha influenzato in modo determinante il nostro vivere e la nostra economia rendendo necessaria una rivalutazione globale delle nostre scelte in campo economico. In questa prospettiva, il gender mainstreaming sembra poter offrire una risposta efficiente in termini economici e sociali.
Non resta che augurarsi che la valutazione di impatto di genere arrivi al centro dell’agenda politica, superando quell’imbarazzante silenzio o, nelle situazioni migliori, quel lezioso compiacimento che aleggia nei temi legati al genere e ne preclude le potenzialità.

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