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Non c'è nessuna strategia ambientale dietro le "tasse ecologiche"

di Giordano Masini

Le cosiddette “tasse ecologiche” in manovra non rispondono ad alcuna strategia ambientale. È lo stesso governo ad ammetterlo, prevedendo il loro gettito costante nel triennio, e quindi escludendo che possano indurre comportamenti virtuosi nelle imprese o nei consumatori. Si tratta piuttosto di tasse punitive: non sapendo come giustificare nuove tasse, il governo decide di colpire alcune categorie di imprese e di lavoratori indicandoli come “sbagliati” e quindi meritevoli di pagare più degli altri. Oltre che inutili queste tasse sono quindi dannose, perché strumentalizzano problemi reali allontanandone però la soluzione. Sono una forma di populismo fiscale.

Si può intervenire sulla produzione e il consumo di plastiche monouso? Non solo si può, si deve. Ma va fatto di concerto con le imprese e i lavoratori del settore, non contro di loro, e offrendo loro l’opportunità concreta di adattare e convertire le loro filiere produttive. Deve esserci una strategia di lungo periodo perché si raggiungano obiettivi realistici e duraturi, non la fretta di racimolare qualche miliardo qua e là. Per quelli ci sono il reddito di cittadinanza e quota 100 da abolire, basterebbe pochissimo.

Non dobbiamo poi dimenticare che oggi la prima emergenza ambientale è quella climatica, e né la plastic tax, in teoria contro l’inquinamento, né la sugar tax (che è una tassa “per la salute”) avrebbero anche nella migliore delle ipotesi alcun impatto sulle emissioni climalteranti.

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