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Riforme: No al podestà d'Italia

di Nicholas Garufi

Dopo un anno di governo inizia a prendere forma la proposta di riforma costituzionale che verrà portata avanti dal Centrodestra in questa legislatura e che ha l’obiettivo di introdurre l’elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri. Un modello sperimentato solo una volta in tutto il mondo, in Israele, e che fu abbandonato qualche anno dopo la sua istituzione. Navighiamo dunque in mari ignoti dove l’unico precedente fu un totale fallimento.

Nel Consiglio dei ministri del 3 novembre 2023 è stato approvato il provvedimento che delinea in maniera più concreta come verrà modificata la Costituzione per inserire il “Premierato”. In maniera poco impattante si toccano l’articolo 59 e l’articolo 88, in cui si elimina il diritto del Presidente della Repubblica di nominare 5 senatori a vita e di sciogliere una sola Camera. Le modifiche più sostanziali si vedono invece agli articoli 92 e 94, in cui si regola l’elezione diretta del Presidente del Consiglio e i suoi rapporti con il Parlamento e il Presidente della Repubblica.

Secondo la riforma dell’articolo 92 proposta dal Governo Meloni il Presidente del Consiglio dei ministri sarà “eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni” e si voterà insieme alle camere “tramite un'unica scheda elettorale”. Si assegnerebbe inoltre un premio di maggioranza ai candidati e alle liste collegati al Presidente del Consiglio dei ministri pari al 55 percento dei seggi delle Camere. Il Presidente del Consiglio, infine, verrebbe eletto pure nella Camera nella quale ha presentato la propria candidatura.

Da queste modifiche l’obiettivo della riforma appare chiara: governabilità a tutti i costi, anche a discapito di alcuni fondamentali principi democratici. Innanzitutto, in ogni democrazia matura moderna, anche negli Stati Uniti, è quello legislativo il potere supremo; pertanto, l’autonomia del parlamento deve sempre venire salvaguardata, qualsiasi sia la riforma proposta. Il vincolo che si pone eleggendo insieme sia il PdC che le Camere, fornendo pure un seggio al premier eletto in Parlamento, lede profondamente l’autonomia delle Camere.

L’elezione diretta, anche se a doppio turno, garantirebbe al premier eletto una maggioranza solida senza però avere un ampio consenso elettorale, una grave stortura della rappresentanza. Inoltre, il ruolo del Presidente della Repubblica verrebbe pesantemente ridimensionato, messo ai margini delle dinamiche istituzionali.

Nei sistemi presidenziali e semipresidenziali esiste una separazione netta tra il capo dell’esecutivo e il potere legislativo: in quanto entrambi eletti direttamente, viene garantita la “convivenza” di linee politiche differenti dal momento che i cittadini hanno la libertà di eleggere un capo dell’esecutivo e una maggioranza parlamentare di colore diverso. In Francia e negli Stati Uniti succede spesso che il Parlamento non abbia una maggioranza favorevole al Presidente eletto. Non ha senso che il Presidente del Consiglio dei ministri sia messo in rapporto di fiducia con il parlamento dato che gode già della legittimità popolare. Il parlamento, a sua volta, ha bisogno di avere una più esclusiva prerogativa sulla legiferazione limitando o eliminando completamente lo strumento del Decreto-legge.

Nell’articolo 94 si garantisce qualche limitato potere di intervento al Presidente della Repubblica: qualora il Presidente del Consiglio dei Ministri dovesse dimettersi o decadere dal suo ruolo, il Presidente della Repubblica potrebbe assegnare l’incarico di formare un nuovo governo al PdC dimissionario o a un altro parlamentare eletto e ad egli collegato “per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”. Questo passaggio mostra in pieno la demagogia populista alla base di questa riforma: che senso ha eleggere direttamente il Presidente del Consiglio se, in caso di dimissioni, può esserne scelto un altro tra i membri del Parlamento? Una totale presa in giro. O il PdC gode di un mandato popolare o la sua azione politica è legittimata da un rapporto di fiducia con il Parlamento. Avere entrambi è contradditorio.

Un parlamentare, inoltre, una volta eletto rappresenta la Nazione e non la fazione politica di appartenenza. Vincolare l’azione del deputato o del senatore al blocco di elezione è demagogico: gli eletti hanno il diritto e il dovere di agire nella maggior libertà possibile in quanto delegati dai cittadini a farlo e si assumono le proprie responsabilità davanti al Paese. Se i partiti non riescono a governare i propri parlamentari è un problema dei partiti non di certo delle istituzioni. Ciò che emerge è un’enorme confusione su cosa significhi avere un mandato popolare e sulle libertà costituzionalmente garantite, oltre che su cosa sia una democrazia.

In una democrazia moderna il parlamento ha principalmente tre funzioni: di rappresentanza, legislativa e di controllo sull’operato dell’esecutivo. A queste, in una democrazia parlamentare, si aggiunge l’importantissima funzione della scelta del Governo. Nel sistema proposto si limiterebbe la funzione di rappresentanza per garantire la governabilità, l’iniziativa legislativa rimarrebbe in mano al Governo e la funzione di controllo verrebbe compromessa dalla subordinazione delle camere al PdC. Un sistema che annulla il Parlamento. Si vorrebbe mantenere l’assetto di una democrazia parlamentare togliendo al Parlamento il potere più importante che ha in tale sistema, ossia la scelta dell’esecutivo. Non si possono modificare radicalmente i rapporti tra i poteri senza prevedere un riequilibrio complessivo; non si può istituire il premierato modificando solo quattro articoli della Costituzione.

Il nostro Paese ha bisogno di riforme puntuali per rendere più chiaro ed efficace il lavoro parlamentare superando il bicameralismo paritario. Ha bisogno di colmare il deficit democratico provocato dal mutilamento del Parlamento a seguito della riduzione dei parlamentari che ha ingolfato il lavoro dell’unico organo ad oggi eletto direttamente dai cittadini. Ha bisogno di una legge elettorale che rappresenti pienamente la volontà degli elettori. Non ha bisogno di un sistema autoritario mascherato da un’illusione di maggiore partecipazione popolare.

Cara Presidente Meloni, democrazia non significa dittatura della maggioranza e non significa neppure “ho vinto le elezioni, fatevene una ragione”. Sono le limitazioni al potere a garantire uno stato di libertà ai cittadini: i vincoli costituzionali e gli equilibri tra i poteri servono per evitare che lo Stato schiacci i suoi cittadini, li renda sudditi. Solo gli antidemocratici non ne sono consapevoli e la Destra con questa riforma palesa il suo profondo fastidio verso i vincoli democratici.

Noi diciamo convintamente NO al Podestà d’Italia, ci opporremo fino all’ultimo a queste derive demagogiche e autoritarie e chiediamo a chiunque creda nei principi democratici di combattere al nostro fianco.

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  • Luigi Quercetti
    published this page in News 2023-11-15 16:13:45 +0100