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No alla scuola fanalino di coda

Di Giorgio Caridà

La scuola deve essere l’ultima spesa su cui il nostro Paese è disposta ad economizzare.  Franklin D. Roosevelt 

Chissà come mai, in questo Paese, chi parla scientemente di scuola sembra parlare al muro: un muro che si è eretto negli ultimi decenni a colpi di berlusconismo, post-berlusconismo, buona scuola, burocrazia, competenze, pof ed edifici che crollano.

Proviamo, per una volta, a rovesciare la piramide. Proviamo a dare voce a chi non sta al vertice delle decisioni. Proviamo a dare voce a chi sta al centro del problema. Proviamo a far passare il messaggio concreto di chi i disagi della scuola li tocca con mano, perché a scuola ci studia e ci lavora quotidianamente. Dobbiamo rilanciare la scuola pubblica, rimettendo al centro studenti e insegnanti: questo è il momento.

A maggior ragione in una fase di emergenza pandemica, rivolgiamo un accorato appello alla ministra Azzolina e al Governo, esprimendo il nostro disappunto sulla gestione, o meglio sulla raffazzonata idea solo in parte e goffamente esposta, annunciata dalla ministra. Abbiamo raccolto alcune dichiarazioni da chi vive in primo piano il mondo della scuola: da chi ha diretto un complesso di istituti, Paolo Gozzi, a chi insegna al liceo, il prof. Simohamed Kaabour, fino a chi dovrà affrontare l’esame di maturità, Edoardo Floro. 

La grande critica che l’ex direttore della fondazione FULGIS (che riunisce tre licei genovesi) Gozzi muove al sistema scuola sta nel fatto che non si ha idea di come organizzare le cose a settembre: siamo già in forte ritardo, perché dovrebbero già esserci gli operai con i plexiglass nelle scuole.

“Sarei molto allarmato, prosegue Gozzi, se fossi ‘chi di dovere’, a pensare che la scuola italiana potrebbe ripiombare in un'emergenza imminente alla riapertura: una crisi difficilmente sostenibile, da un punto di vista educativo e sociale. Né mi tranquillizzerebbe pensare a un ricorso massiccio alla Didattica a Distanza, che si è dimostrata un simulacro di scuola, snervante e discriminatorio. L'unica cosa che ha dimostrato la DaD è, ancora una volta, la propensione degli insegnanti italiani e delle famiglie ad inventarsi, con grande dedizione, molta professionalità e scarse indicazioni. Ma senza contatto fisico non c'è scuola, senza relazioni umane non c'è educazione: il ricorso alla DaD rischia di diventare un alibi per fingere che tutto va avanti; ma nulla va avanti se si considera il milione e seicentomila studenti che ne sono stati esclusi, per le ragioni più svariate, e non ultime quelle che la scuola è proprio chiamata a risolvere: povertà, mancanza di mezzi adeguati, esclusione sociale, contesto famigliare non edificante.

Chissà cosa ne scriverebbe don Milani, se vedesse, se ci fosse, di questo ‘ospedale che cura i sani e respinge i malati’. Se si vuole considerare l'educazione una priorità, in questo Paese, non esiste altra soluzione che questa: classi dimezzate e organici pieni. Chi tergiversa su altre ipotesi, lanciandole nel dibattito pubblico e poi ritirandole, mente deliberatamente o - cosa più grave - non sa di cosa sta parlando. Senza scaricare sulle spalle dei dirigenti scolastici, in nome dell'autonomia scolastica, il rischio e le difficoltà di una situazione che non ha altra cura. A meno che non si consideri la scuola una cosa rinunciabile: e francamente, vedendo che a più di due mesi dall'inizio dell'emergenza e a poco più di uno dagli esami ancora non si hanno indicazioni precise sulla Maturità, il dubbio viene ed è legittimo”.

Il professor Simohamed Kaabour, insegnante di arabo al liceo Deledda di Genova, rincara la dose. In alcuni sistemi scolastici, sottolinea Kaabour, gli alunni devono indossare la “divisa” per non evidenziare le differenze.

Ma in Italia, e sicuramente lo sarà anche in altri paesi, è bastato stare a casa più del solito, per svelare la forbice di disuguaglianza. Ecco che il diritto allo studio si fa poroso, perché in tutti questi anni di discussione sulle priorità del nostro Paese non si è mai speso abbastanza per quelle crepe sui muri, per quella digitalizzazione che avremmo già dovuto sperimentare e per quei precari che avrebbero dovuto rinforzare l’azione didattica di chi sino ad oggi, oltre a professionalità e vocazione, deve ricorrere all’improvvisazione. Nel Decreto Rilancio è previsto meno di 1 miliardo per tutta la scuola italiana e 3 miliardi per Alitalia. Ecco, questo aspetto, come l’interminabile discussione sul come riaprire a settembre, conferma ancora una volta che la scuola non è vissuta come incubatore di competenze e talenti, tra quelli che guideranno aerei, gestiranno aeroporti o eviteranno fallimenti di compagnie. Invece è vissuta come se la riuscita di un percorso scolastico sia responsabilità esclusiva degli alunni, ma la routine scolastica, prima e durante la pandemia, conferma che l’istruzione è un lavoro di gruppo, condiviso e sperimentato. Fatto di opportunità e strumenti da predisporre. 

Voglio riprende l’affermazione di un grande, Nelson Mandela, che ha vissuto in ‘lockdown’ per 27 anni eppure istruzione e scuola, sono sempre state al centro del suo pensiero politico:

"L'istruzione è il grande motore dello sviluppo personale. È attraverso l'istruzione che la figlia di un contadino può diventare medico, che il figlio di un minatore può diventare dirigente della miniera, che il figlio di un bracciante può diventare presidente di una grande nazione’.

Al di là del dibattito politico, sono convinto che la risposta sia, ancora una volta, in mano a docenti e studenti. Riuscirà chi darà di più, perché sicuramente avrà di più. Non demordiamo sul richiedere che venga fatto ugualmente dai nostri rappresentanti istituzionali”.

Veniamo ora al tanto atteso esame di maturità, quell’esame bistrattato sul quale tutti i governi che si susseguono devono mettere una loro impronta. Quest’anno niente buste, niente scritti, ma l’"oralone". Tra chi pensa che l’esame di quest’anno sia una farsa più del solito e chi proprio vorrebbe toglierlo, lo studente Edoardo Floro della 5F del liceo Deledda di Genova si è così espresso:

“Io penso che questa farsa che i vari ministri hanno il coraggio di chiamare ‘esame di Stato’ sia in realtà un gigantesco specchio per le allodole, un modo per dimostrare al resto dei Paesi europei che noi lavoriamo e studiamo. Penso anche che sia un vero e proprio insulto alla nostra intelligenza e alle nostre capacità. L’ignoranza che si legge in molti articoli sul tema è dovuta ad un sistema scolastico vecchio su cui non si investe più niente, un sistema che non ci permette di ragionare fuori dagli schemi, di poter capire qualcosa di economia, diritto o geopolitica.

Allora non esultiamo perché avremo l’opportunità di dare un senso ad un percorso di cinque anni, ma piuttosto pensiamo al fatto che dovremo affrontare un esame dopo mesi di isolamento sotto una pressione costante, senza possibilità di poter prendere una boccata d’aria o di uscire durante il fine settimana. Pensiamo al fatto che ci giudicheranno in base ad una sola prova orale, poco importa se in questi mesi abbiamo visto parenti ammalarsi o se abbiamo perso qualcuno di importante senza nemmeno poterlo salutare, la cosa importante è ripetere a pappagallo quello che ci hanno insegnato, perché solo così resteremo «i più ignoranti d’Europa»”.

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