di Carmelo Palma
Durante il periodo della pandemia, scrive l’stat, gli occupati in Italia sono diminuiti di 841.000 unita' rispetto al trimestre precedente e tra questi quasi la meta' sono giovani under 35 (416.000).
Non c’è da stupirsi che in Italia la disoccupazione colpisca innanzitutto i più giovani. Le crisi economiche colpiscono in primo luogo i settori più fragili del mercato del lavoro. Ma che tocchi ai giovani non è un dato “naturale”, così come non è casuale che la quota di Neet – giovani che né studiano, né cercano lavoro – in Italia sia nettamente superiore a quella di altri Paesi europei. Si tratta di effetti prevedibili di politiche improntate alla più smaccata iniquità generazionale.
Questa è la conseguenza del fatto che in Italia la spesa per istruzione e, in modo ancora più drammatico per l’università, è molto più bassa di quella di altri paesi europei sia rispetto al Pil che rispetto al bilancio complessivo e che i beneficiari della quota maggiore di spesa pubblica e dunque di incentivi, sostegni e tutele, è concentrata nella quota più anziana della popolazione. Siamo un Paese che spende in pensioni ciò che altri spendono sul welfare to work e in cui la “promessa” che si fa ai giovani è quello di un reddito di cittadinanza garantito a vita. Se non si cambiano queste politiche i giovani italiani continueranno a essere sempre più disoccupati, inoccupati e sfiduciati.