Di Ariela Briscuso
I wish it were possible to obtain a single amendment to our constitution. I would be willing to depend on that alone for the reduction of the administration of our government to the genuine principles of its constitution; I mean an additional article, taking from the federal government the power of borrowing. Thomas Jefferson.
All’ultima rilevazione della BCE, l’Italia risultava l’unico Paese dell’eurozona ad avere un tasso di interesse medio sul debito più alto del tasso di crescita. La conseguenza principale di questo fatto viene chiamata effetto snowball: l’aumento del debito dovuto alla spesa in interessi non è neutralizzato dalla crescita. Potremmo descrivere le conseguenze di questo fatto come una politica di “cannibalismo” nei confronti del futuro. Negli ultimi anni in Italia, ad esempio, la spesa in interessi generalmente si “mangia” l’avanzo primario.
Debito oggi, significa più tasse domani. Del benessere, spesso fittizio e caduco, di oggi si occuperanno i contribuenti di domani. Il debito continua, nella sua costante riproduzione neoplastica, a fagocitare risorse che potrebbero essere destinate a voci di spesa più utili come l’istruzione o gli investimenti. In questo senso la politica del consenso comprato, del voto di scambio istituzionalizzato e legalizzato, della democrazia in deficit crea un deficit di opportunità ed equità (e quindi anche di libertà) per le future generazioni; la pressione fiscale è attualmente ai massimi dal 2015, nel 2018 il 32% delle tasse versate dai contribuenti IRPEF andava in pensioni ed interessi sul debito.
La principale questione di equità tra generazioni che si intuisce da tali dati, è anzitutto una questione di uguaglianza nelle libertà, i giovani dovranno farsi carico tramite una tassazione, presumibilmente sempre più oppressiva, della crescente popolazione anziana e pensionata. Le future generazioni non solo, quindi, godranno di tutele distributive inferiori a quelle dei loro genitori, ma saranno gravate da una tassazione che ridurrà le loro opportunità economiche di lavoro e di impresa, che minerà la loro libertà economica e renderà sempre più difficile per loro qualsiasi tipo di sviluppo individuale, di iniziativa economica.
Tuttavia, la proliferazione del debito può essere vista da un’altra angolazione. Il debito pone sia una questione costituzionale, dal punto di vista dello Stato di Diritto (di rispetto delle regole) che una questione di responsabilità democratica.
L’articolo 81 della Costituzione - sin dalla sua prima formulazione - poneva l’obiettivo di una gestione oculata (e non in deficit) delle finanze pubbliche e prescriveva la necessità di trovare “mezzi per farvi fronte” per le nuove o maggiori spese previste da ogni legge. La conseguenza logica di questa impostazione è un potenziale di spesa limitato dello Stato, limitato dalle risorse disponibili, limitato alle necessità. Nondimeno l’interpretazione originale dell’articolo 81 fu aggirata e travisata a patire dagli anni ’60 con l’intento principale della monetizzazione del consenso; potremmo, dunque, dire che forse siamo davanti a ciò che Von Hayek definiva “democrazia illimitata”. I rappresentanti del popolo, il Governo, ritengono (e ritennero) di non dover essere sottoposti a limite alcuno nel loro agire, non a un limite che fosse semplicemente un limite materiale, economico, di disponibilità di risorse, non a un limite costituzionale.
La “democrazia illimitata”, ove la volontà del popolo, dei rappresentanti del popolo, non è posta ad alcuna demarcazione, per cui, come nota Hayek, lo Stato può democraticamente minacciare le libertà dell’individuo, è anche un’impostazione tipica dei politici populisti che, in poche parole, vogliono far prevalere (in un conflitto fantomatico) la democrazia sul liberalismo, la dittatura della maggioranza sulla libertà del singolo. Negando persino i limiti materiali e limiti costituzionali alla facoltà legislativa dello Stato, viene, di fatto, postulata la sua totale onnipotenza e potenziale incondizionata intrusività.
Il modo in cui nella Prima Repubblica si distorse l’articolo 81 fu quello di considerare i debiti propriamente risorse o mezzi, ovvero di valutare i soldi chiesti in prestito tramite l’emissione di titoli di Stato al pari delle altre entrate come quelle tributarie. Il parlamentare radicale Marcello Crivellini, il quale nel 1986 per primo propose una modifica dell’articolo 81 per chiarificare e definire i limiti della spesa in deficit, nella relazione iniziale della sua proposta di legge, descriveva limpidamente l’essenza della democrazia consociativa del debito, della postulata illimitatezza dello sperpero: “In questo modo non c’è limite al deficit di bilancio e al debito pubblico. Per ogni esercizio finanziario la spesa può superare l’entrata di un valore grande a piacere; è sufficiente “ricorrere al mercato finanziario” dello stesso importo”. Ciò che il deputato radicale definiva, appunto, il teorema del deficit: “Dato un deficit di bilancio grande a piacere è sempre possibile aggirare l’articolo 81 della costituzione ricorrendo di pari importo al mercato finanziario”.
Il fenomeno del debito pubblico e una contigua manifestazione di deterioramento democratico nell’Occidente liberale sono ambedue accadimenti alla cui massima espansione stiamo assistendo. In sostanza, tutti i leader populisti occidentali di destra e di sinistra (da Trump, passando per Johnson e per Alexandria Ocasio Cortez, per arrivare ai gialli, ai verdi e ai rossi di casa nostra) promettono più deficit, promettono più debito, il debito, il deficit sono per loro l’unica via per realizzare la volontà popolare e affrancare il popolo dalla tirannica austerità.
Silone notava come l’assistenza non sia prerogativa degli stati democratici, bensì sia sovente comune in quelli illiberali come “compenso demagogico alla privazione della libertà”. Le nuove generazioni, pare, dovranno, in Italia soprattutto, non solo affrontare le conseguenze di un soffocamento introverso dell’economia dovuto all’ormai insostenibile debito pubblico, ma anche un pressante deteriorarsi della forma democratica e liberale. Il meccanismo del debito è in un certo senso un sabotaggio democratico: esso causa un cortocircuito della responsabilità democratica, taglia il filo che lega i governanti alle conseguenze delle proprie politiche.
Una delle principali caratteristiche delle nuove “democrazie illiberali” è l’alienazione dei politici rispetto alle loro responsabilità e alle loro scelte. Non solo Salvini cerca di scaricare qualsiasi questione su agenti esterni al suo controllo (spesso l’immigrazione, l’Europa), ma elude anche gli effetti delle sue stesse azioni e decisioni politiche, riuscendo ad attaccare provvedimenti da lui votatati (reddito di cittadinanza, sospensione della prescrizione) o arrivando a fare terrorismo sulla possibilità dell’aumento dell’iva, che in teoria avrebbe potuto essere scatenato dalle clausole di salvaguardia (anche) da lui approvate.
Il sistema della democrazia a deficit replica e moltiplica questo processo di alienazione: in sostanza fare deficit è rubare risorse utili ai futuri governanti per provvedimenti del cui consenso caduco si beneficerà immediatamente, i governanti del futuro si vedono gravati da un crescente debito da loro non generato e delle cui conseguenze dovranno occuparsi (restringendo voci di spesa più utili, o aumentando la tassazione). I governanti futuri saranno limitati dal vincolo crescente della spesa per interessi, e per questo non potranno appieno rispondere democraticamente delle loro proposte politiche, mentre appariranno responsabili per gli effetti dei necessari accorgimenti che occorre varare per limitare i danni della politica in deficit.
L’essenza di questo cortocircuito democratico è che la politica si accinge a perdere la sua connotazione razionale, perché inizia ad apparire agli elettori totalmente avulsa da una logica di causa-effetto, le azioni non sono più collegate a conseguenze, i provvedimenti non sono più valutati per gli effetti che producono: gli esiti delle politiche economiche di un Governo vengono attribuiti ad altri, o ad altro, il filo logico della politica viene reciso. Anche in questa ottica la crescente sfiducia delle persone nella politica può essere spiegata.
La crisi della democrazia in Occidente che le future generazioni si affacciano ad affrontare e possibilmente dovranno risolvere è soprattutto una crisi di responsabilità, analoga e concatenata al meccanismo della dilatazione sconsiderata del debito pubblico.
Pubblicato su Strade, 21 gennaio 2020