Di Antonino Barbera Mazzola, Giorgio La Rosa e Benedetta Dentamaro (Più Europa Bruxelles in Europa)
La cura della famiglia in Italia ricade tuttora sulle donne: il divario tra madri e padri occupati è del 28%, il secondo peggiore in Europa.
Se vogliamo che le nostre figlie e i nostri figli possano beneficiare di un ascensore sociale che non resti bloccato al piano terra, è necessario battersi per un congedo parentale uniforme e che prescinda dal genere. Con particolare riguardo all’esperienza paterna e alla revisione del congedo di paternità prevista dalla direttiva UE 2019/1158 del 20 giugno 2019, che dovrà essere recepita quanto prima e non oltre il 2 agosto 2022.
Oggi il congedo di paternità è obbligatorio per soli cinque giorni, entro il quinto mese di vita del figlio. Un congedo gender-neutral produrrebbe l’effetto diretto di ridurre le disuguaglianze nel mercato del lavoro, attraverso l’assottigliamento del gap retributivo e pensionistico tra uomo e donna. La scelta tra carriera e famiglia rimane un fattore determinante che porta molte donne a escludere certe opportunità di carriera. Prova ne sia che le donne italiane manager o imprenditrici sono ben al di sotto del 30% del totale. Inoltre, il congedo gender-neutral avrebbe l’effetto indiretto di valorizzare il lavoro casalingo. Quest’ultimo ad oggi è spesso non retribuito, e svolto per la grande maggioranza da donne – un record negativo per l’Italia in Europa.
Il nostro orizzonte è quello di tutelare la genitorialità in quanto attività benefica per i bambini: quindi indipendentemente da chi la eserciti. Per questo la legge dovrà regolare in maniera paritaria anche il congedo parentale per le coppie dello stesso sesso. Inoltre, sarà necessaria una valutazione d'impatto sulle famiglie monoparentali per potere venire incontro anche alle loro esigenze.
Questa proposta è complementare a un contrasto efficiente del fenomeno delle cosiddette "dimissioni in bianco" e a politiche per l'equa rappresentanza dei generi a livello apicale presso enti, aziende e istituzioni. In aggiunta, stimolerebbe un ripensamento dei luoghi di lavoro in chiave di conciliazione con la cura dei figli, per esempio adattando gli orari di apertura e disponibilità di spazi kindergarten. Infine, consentirebbe ad asili nido e scuola di organizzare la propria offerta con il fine esclusivo di una sana formazione durante i primi anni di vita piuttosto che fungere da strumento di conciliazione vita-lavoro.
Investire in equità tra uomini e donne avrebbe ritorni in termini di prodotto interno lordo, in quanto mobiliterebbe forza lavoro attualmente inespressa; di produttività grazie a una migliore valorizzazione dei talenti disponibili; nonché di salute mentale, riducendo il monte ore di lavoro formale e informale che ricade sulle spalle di alcune madri lavoratrici. Infine, non bisogna tralasciare che, oltre alle disuguaglianze tra uomini e donne, anche all'interno della popolazione femminile esistono privilegi e svantaggi. Sarà necessario monitorare l'impatto di questa legge sulle diverse fasce di reddito a seguire dal primo anno di applicazione.
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