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Il caso mascherine ci mostra che serve una regia Ue per le emergenze sanitarie

Di Massimo Bulckaen

L'ultimo capitolo della vicenda delle mascherine ci mostra che l'improvvisazione e la confusione dei primi mesi stanno lasciando il passo a ordinanze dal carattere autoritario, assai più pericolose, in stile “venezuelano de noantri”, operate dal Commissario governativo Arcuri.

Se ricostruiamo brevemente quanto accaduto da febbraio a oggi, non possiamo non ricordare che la prima grave questione è stata la mancanza di sufficienti scorte di un bene che non è deteriorabile ed è necessario nelle emergenze.

La mancanza di stock adeguati ha determinato il rapido esaurimento di fronte all'enorme portata della domanda di un bene che, a basso costo, non era più prodotto in Italia e in Europa e relegato alle filiere di produzione asiatiche.

Il 31 gennaio 2020 il Governo Conte ha dichiarato lo “Stato di Emergenza” in conseguenza del “rischio sanitario connesso alla trasmissione del virus”. Ben 20 giorni prima del riconoscimento del primo paziente ricoverato per polmonite da COVID a Codogno e nonostante il premier in TV, il 27 gennaio, avesse proclamato che “l’Italia è prontissima a fronteggiare l’emergenza” e che il Governo ha già adottato misure cautelative “all'avanguardia”.

Il primo provvedimento della Protezione Civile per fronteggiare l’epidemia è del 25 febbraio, quasi 3 settimane senza alcun provvedimento per l’acquisizione di dispositivi di protezione per il personale sanitario, ventilatori per potenziare le terapie intensive, reattivi per eseguire i tamponi nei vari laboratori.

Sappiamo che le mascherine, il cui approvvigionamento e distribuzione spettano al Governo e alla Protezione Civile, sono mancate nella fase più acuta dell’emergenza sanitaria come presidio di protezione dei sanitari: medici di famiglia e ospedalieri, infermieri impegnati negli ospedali e sul territorio, personale OS nelle case di riposo, farmacisti.

Sappiamo che saranno fondamentali come presidi di protezione per la popolazione tutta, per affrontare la prossima fase di riapertura.

Siamo stati spettatori di quanto le mascherine siano state, nelle settimane scorse, uno degli errori più “teatrali” di comunicazione del Comitato Tecnico-Scientifico a cui, di fatto, il Governo ha demandato la guida della prima fase dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia COVID19. Una strategia dell'ISS improntata a “certezze scientifiche” che non si potevano definire tali.

E così, mentre il comitato-tecnico scientifico continuava a ribadire per settimane che “le mascherine dovevano essere indossate solo da chi presentava i sintomi di una sindrome respiratoria”, con l’inizio di aprile, a tre mesi dal riconoscimento scientifico del Sars-Cov-2, l’Organizzazione mondiale della Sanità ha ammesso di aver iniziato «a valutare l’uso delle mascherine in modo più ampio, a livello di comunità, per controllare la trasmissione di Covid19». Dunque, milioni di cittadini.
Si ritiene che in Italia siano necessari oltre 90 milioni di mascherine ogni mese.

Una domanda enorme, che ha prodotto uno squilibrio tra domanda e offerta che richiede mesi per trovare un nuovo equilibrio con nuove produzioni.

E mentre i Governatori, a partire da Veneto e Lombardia, seguiti poi da Toscana e altri, iniziavano a muoversi in proprio, con pragmatismo, per “farsi carico” dei limiti del Governo e del comitato tecnico-scientifico, iniziava a farsi strada un diverso racconto circa l’importanza delle mascherine, ritenute adesso fondamentali presidi per contenere il contagio.

Tutto ciò mentre già a fine marzo l’Austria aveva annunciato la decisione di rendere obbligatorio l’uso delle mascherine all'interno dei supermercati e simili imposizioni erano già state adottate in paesi europei come Repubblica Ceca, Bosnia e Slovacchia.

Quanto all'Italia, sabato 4 aprile la Lombardia emetteva un’ordinanza che imponeva l’uso della mascherina come condizione per poter uscire di casa e lo stesso giorno il capo della protezione civile, Angelo Borrelli, dichiarava in conferenza stampa che lui non ne faceva uso “perché tanto basta mantenere la distanza”.

Il giorno seguente, 5 aprile, il ministro della Sanità, Speranza, illustrava un piano «per il dopo», in cui era essenziale «promuovere l’utilizzo diffuso di mezzi di protezione individuale, quali le mascherine».

Di fronte all'incredibile fatto di mascherine indispensabili in Lombardia e Veneto e “inutili” nel resto d’Italia, ma “fondamentali per il dopo“, anche le certezze dell'ISS, che guidavano l’autoritarismo dogmatico-scientifico del Governo, si sono sciolte.

Nel mese di aprile il Governo e la Protezione Civile sono stati in grado di reperire nuove forniture di mascherine ed è iniziata una produzione italiana da parte di aziende che hanno intrapreso una riconversione industriale. Le mascherine (sia chirurgiche che di diverso tipo come presidio ospedaliero) sono progressivamente ricomparse nelle farmacie ma ecco che, il 26 aprile, interviene un’ordinanza del Commissario Governativo per l’Emergenza Corona Virus, Arcuri che, nel tentativo di calmierare i prezzi, ha emanato un’ordinanza in stile “grida manzoniane”, la quale impone un prezzo di Stato dopo aver stretto accordi con Farmacie (26.000), supermercati (20.000), tabaccai (50.000): ogni mascherina non potrà essere venduta sul territorio nazionale a un prezzo superiore a 50 centesimi.

“Tutti guadagneranno il giusto” proclama Arcuri.

Evidentemente il Governo ha studiato il prezzo giusto, superando il mercato.

Promuovere l'incremento della produzione nazionale è proprio uno dei fini dell’attuale fase, ma comprimendo gli utili si finirà per importare di più e produrre di meno, con un paradosso: le imprese prima sono state incentivate a entrare in questo mercato e ora vengono penalizzate con un tetto al prezzo.
Inoltre si rischia di "congelare" la distribuzione proprio quando nelle farmacie le mascherine erano finalmente ricomparse. A oggi, infatti, le mascherine sono introvabili nelle farmacie italiane, da nord a sud.

Il commissario avrebbe potuto muoversi con molte frecce al suo arco:
finanziamenti alle imprese che producono mascherine, incentivi alle imprese stesse per mantenere basso il prezzo alla produzione, accordi privatistici con la rete di produzione.

Ha invece scelto di proclamare un “editto”, ovviamente emanato dal Governo, che rischia di avvelenare la produzione e distribuzione delle mascherine e propone un modello già noto nella storia: uno stile Peronista o Venezuelano, per stare ai tempi nostri, che vogliamo contrastare.

Quello che ci insegna questa pandemia COVID è che l’emergenza non riesce a essere gestita da una singola nazione, occorre quindi una regia dell’Unione Europea per la gestione delle grandi emergenze sanitarie, così come propone la petizione di +Europa che puoi firmare collegandoti al seguente link.

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