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E SE È UNA FEMMINA SI CHIAMERÀ FUTURA

Anna Lisa Nalin, segreteria nazionale di +Europa

 

Viene in mente la famosa notte dei bombardamenti in una delle più belle canzoni di Lucio Dalla, quella dove “Futura” diviene simbolo di speranza e di rinascita. Le bombe in questa notte della pandemia Covid19 si stanno ovunque, ma sulle donne in modo ancora più duro, rese fragili da una disparità sociale ed economica endemica e soverchiante nel nostro Paese.

Se vogliamo, davvero, investire nel futuro è ora di declinare le condizioni per la ripresa investendo soprattutto a favore dell’accesso delle donne alle attività produttive: dalle imprese femminili all’occupazione sul mercato del lavoro. I dati lo confermano. Il dossier diffuso dal Sole 24 ORE sulla base di un’indagine di Unioncamere indica una caduta più marcata della nascita di nuove imprese femminili: - 42,3% contro il - 35,2% di quelle maschili nel secondo trimestre del 2020, trend proseguito nel terzo con - 4,8% a fronte di un +0,8% nel terzo trimestre. Questo dopo che per diversi anni lo slancio rosa aveva superato per vitalità quello maschile.

In Italia sono ora 1,3 milioni le attività guidate da donne e rappresentano solo il 22% del totale. Coprono perlopiù il comparto servizi e quello primario. Per quasi il 97% (39mila) si tratta di piccole imprese con meno di 10 addetti; solo poco più di 3000 hanno medio-grandi dimensioni. La loro capacità di ripresa è inferiore rispetto alle imprese maschili. L’aspettativa di vita è solo attorno ai 3 anni (il 78% più bassa rispetto alle altre realtà).

Le “aziende delle donne”, dunque, stanno dando prova di una debolezza intrinseca in una società pensata dagli uomini per gli uomini soprattutto nel settore economico. Anche sul fronte occupazionale si rivela un trend simile:nel secondo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo del 2019, 470.000 donne hanno perso lavoro, pari al 55,9% degli occupati in Italia.

Proprio perché il tessuto imprenditoriale femminile è rappresentato da micro-imprese è necessario invertire il paradigma con coraggiose strategie economico-sociali di sostegno e di rilancio. Dal dossier del SOLE 24 ORE emerge come le imprenditrici lamentino i vincoli per l’accesso al credito, la difficoltà dell’adeguamento alla tecnologia. I fondi a sostegno, quindi, dovranno essere immediatamente utilizzabili per le formazione, la trasformazione digitale, l’innovazione, la semplificazione delle pratiche e la flessibilità sia nella gestione del personale che nei processi interni. Questi fattori potranno agevolare la riconversione delle aziende femminili che, come detto, operano soprattutto nei settori dei servizi, tra cui anche il turismo.

L’Europa chiede all’Italia di promuovere l’uguaglianza e la parità di genere. Dei 209 miliardi previsti per l’Italia dal Recovery Fund (Next Generation Europe) attualmente solo 4,2 miliardi sono stati inseriti in una generica voce quale “politiche sociali” e queste dovrebbero ricomprendere anche le politiche di parità. La legge di bilancio 2021 vede una dotazione di 20 milioni di euro con il Fondo impresa femminile, stessa cifra per il 2022. Si tratta di contributi a fondo perduto per l’avviamento delle imprese femminili e finanziamenti agevolati. Sforzo apprezzabile ma lontano dall’essere sufficiente.

Le donne, inoltre, rimangono ampiamente sottorappresentate anche nelle sedi preposte a politiche per recuperare il cosiddetto gap di genere.

Non ci sarà futuro sviluppo, infine, né per l’imprenditoria né per l’occupazione femminile se il Governo non metterà le condizioni per un riequilibrio sostanziale dei rapporti donne-uomini.La pandemia si è abbattuta sull’universo femminile in modo più gravoso perché la società ha riversato sulle donne gli “effetti collaterali” dello smart-working, della gestione della casa, della DAD dei figli, tanto per citare alcuni esempi, senza contare le situazioni drammatiche in cui le case si sono trasformate per loro in prigioni.

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