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Dimmi che posto mi dai

di Michele Governatori

Non sono rappresentante dei genitori al liceo di mia figlia, un grande liceo di Roma, ma ho appreso nei giorni scorsi da chi lo è  che l’istituto sta valutando per il prossimo anno scolastico varie opzioni di alternanza tra lezioni in presenza e online, per le classi diverse dalle prime, opzioni che in ogni caso prevedono l’effettuazione di solo la metà delle ore in presenza.

È complicato trovare gli spazi fisici aggiuntivi, si dice, e comunque anche se si trovano non c’è il personale per presidiarli (non è solo un problema di docenti).

Ora, alla ripresa delle scuole saranno passati sette mesi dall’inizio dell’”emergenza” (ma poi: il distanziamento non doveva diventare il new normal fino al vaccino? Ancora la chiamiamo emergenza?). Io non ho dubbi che una riorganizzazione di una macchina vasta come quella della scuola sia complicata, faticosa e costosa. Ma se c’è una cosa che non manca in questi tempi sono i vani vuoti (cinema, teatri, uffici) e le forze di lavoro inoccupate (magari quelle cui diamo il RDC o i sussidi di disoccupazione). E nemmeno i soldi mancano – tralasciando la questione di come li restituiremo – e usando il MES costano anche molto poco.

Ne consegue che se le scuole non riaprono in pieno, se saranno il nostro capitale umano e la ricchezza umana e culturale dei nostri figli a essere ancora sacrificati, l’unica ragione sarà la volontà o l’incapacità di chi decide e amministra.

Ricordate “Non l’hai mica capito” di Vasco Rossi? Dove la voce narrante (o meglio: cantante) elenca le attività cui la sua amata si dedica alacremente finendo per non trovare mai tempo per lui. “Dimmi che posto mi dai” chiedeva alla fine sconsolato Vasco.

Che posto stiamo dando alla scuola?

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