di Anna Lisa Nalin
Se sei donna, più o meno giovane, se sei single oppure non hai almeno 2 figli e per di più lavori con un contratto precario o a tempo determinato, allora non vali abbastanza per ottenere la decontribuzione prevista dalla legge di bilancio 2024 targata Giorgia Meloni che garantisce questo vantaggio solo ad una minoranza molto ristretta delle italiane occupate.
La prima premier del nostro Paese dimostra ancora una volta poca attenzione per la grave disparità di genere dominante e scarsa comprensione delle leve per superare il gap salariale, economico, sociale e culturale, con cui le donne si confrontano quotidianamente.
Vediamo le condizioni previste dalla manovra per la decontribuzione femminile: le mamme lavoratrici a tempo indeterminato con 3 figli e fino al 18simo anno del figlio minore potranno beneficiare di uno sgravio contributivo del 100%, sino a 3000 €. Misura con una copertura prevista per un periodo di 3 anni. Va meno bene per le lavoratrici con due figli e il più piccolo con meno di 10 anni: loro il taglio dei contributi è in via sperimentale e solo per 1 anno, come ha specificato l’imbarazzante errata corrige della norma a legge di bilancio già approvata. Alle immediate proteste il Mef ha precisato che il testo originale era sempre stato pensato così.
Il dato più preoccupante è che il governo Meloni non si interessa della stragrande maggioranza delle lavoratrici che purtroppo sono occupate con contratti a tempo determinato se non in condizioni di drammatico precariato. Non si pongono in atto misure per aiutare le donne in quanto tali- e non in quanto madri- a superare le enormi difficoltà sul mercato del lavoro.
Si guarda al dito e non alla luna, dove la luna è rappresentata da un gap salariale femminile del 10/ 15% rispetto agli uomini già dalla prima occupazione e a parità di funzione. Forbice che si amplia man mano che si progredisce nella carriera tanto da poter arrivare per le posizioni apicali a un 25% e anche più.
Inoltre, le donne in Italia presentano i tassi più alti di disoccupazione e di inattività e se trovano occupazione questo avviene in settori con retribuzioni basse e con poche possibilità di sviluppo di carriera.
La classica del Word economic forum stigmatizza la situazione. Su 146 Paesi l’Italia è all’80simo posto per parità salariale ed è sprofondata al 79simo posto nella classifica generale sulla parità di genere, dove abbiamo perso ben 16 posizioni rispetto alla precedente graduatoria.
A tutto questo si aggiunge la paradossale mancanza di asili nido. La manovra si pone l’obiettivo di raggiungere un’offerta minima di posti pari al 33% dell’utenza su tutto il territorio nazionale nel 2027. Ad oggi, ma anche nei prossimi anni, la copertura nazionale è irrisoria. Nel frattempo, è arrivata un’altra presa in giro. Si prevede che il bonus asili nido salga sino a 3600 € per i genitori di bambini nati nel 2024, purché abbiano un altro figlio di età inferiore ai 10 anni e un Isee inferiore a 40mila €. Non solo non c’è l’asilo nido gratis per il secondo figlio di cui aveva parlato Meloni in conferenza stampa, ma si millantano posti e bonus per asili che in realtà non esistono neppure per i primi figli!
Aggiungiamoci l’aumento dell’IVA per assorbenti e prodotti per l’infanzia passata dal 5 al 10% e abbiamo un quadro deprimente sulla mancanza di interventi a favore delle donne nell’era Meloni.
C’è poco di cui sorprendersi: la premier ha puntato tutto su Dio, patria e famiglia…naturale e tradizionale al meglio, anche se dopo la “vicenda Giambruno” forse non sarebbe più il caso di andare troppo per il sottile.
Il vero problema, tuttavia, è che non basta annunciare in modo propagandistico politiche sulla natalità e buttare nel mucchio qualche contentino solo per le madri di famiglie numerose. Il governo delle destre non si prende cura del mondo femminile in sé e della disparità che mantiene il nostro Paese declinato al maschile.