Di Giordano Masini
L’antisemitismo dei leader di governo è strisciante, mai urlato, piuttosto sussurrato qua e là, evocato nei riferimenti a Soros e alla finanza internazionale. Oggi (o sarebbe meglio dire “per ora”) nemmeno Salvini potrebbe permettersi di evocare la “ruspa” contro gli ebrei e sopravvivere politicamente.
Può farlo invece contro gli zingari, che con gli ebrei condivisero lo sterminio nazista, perché se la Shoah ha costretto gli europei a una grande resa dei conti con i propri demoni, l’olocausto dei Rom e dei Sinti resta il “grande rimosso” nella nostra coscienza collettiva: un olocausto che ha anche un nome, “porrajmos”, ma guarda caso questa è una parola che non conosce quasi nessuno, e proprio oggi si ricorda - ma in realtà chi lo ricorda davvero? - l'assassinio in un solo giorno di circa 4000 Rom e Sinti nel campo di Auschwitz-Birkenau, avvenuto il 2 agosto del 1944.
Se il ventre che ha partorito il mostro è ancora fertile, come scrisse Bertold Brecht (“der Schoß ist fruchtbar noch, aus dem das kroch”), il seme che può fecondarlo è l’odio contro gli zingari, più ancora di quello contro gli immigrati, perché più antico e profondo, più intimamente condiviso.
Stare oggi dalla parte degli “zingaracci” contro Salvini è la cosa politicamente meno remunerativa, ma è la cartina di tornasole della civiltà.