Salta

Uno sciopero contro i giovani e il lavoro. Ecco perché

di Valerio Federico

Dopo il balcone dei 5S ecco Landini che vuole ridurre la povertà senza investire in crescita e mettendo la testa sotto la sabbia sulla spesa pensionistica e sull’equità intergenerazionale.  

Lo sciopero del 16 è una sciagura non solo perché rompe il consenso alla politica del governo Draghi, così prezioso in questa fase, ma per il merito di ciò che afferma il segretario generale della Cgil che chiede più attenzione “ai dipendenti” e ai pensionati, e che ci sia una “vera” riforma delle pensioni grazie alla quale ognuno possa andare in pensione a 62 anni, e, infine, che il governo tuteli “le persone più bisognose".

Ricordando a Landini che i contributi previdenziali e assistenziali vengono versati anche dai lavoratori autonomi (che hanno pensioni più basse), categoria che mai cita, serve chiarire alcuni punti:

  1. da oltre 20 anni i cittadini che più si sono impoveriti in Italia sono gli under 34 (molti lavoratori autonomi) e l’unica fascia d’età che ha visto ridursi il tasso di povertà è quella degli over 65, è infatti raddoppiato il divario tra la retribuzione media dei lavoratori (che pagano i contributi) e l’importo medio delle pensioni. Quando l’età della povertà cala, il trasferimento di risorse si ha all’interno delle famiglie dove il pensionato aiuta il giovane, ma su questo meccanismo, profondamente iniquo, non possono contare molti giovani.
  2. in percentuale su quanto i lavoratori producono (PIL) continuiamo ad avere una spesa pensionistica più alta di quasi tutti (spendiamo 70/80 miliardi in più all’anno della Spagna), a scapito degli investimenti in produttività, spesa, questa sì, che porta a una crescita del PIL, dei salari, degli occupati (in primis giovani), e quindi dei contributi per pagare le pensioni. Dal 2019 e solo fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL è tornato e continuerà ad aumentare per via di quota 100 e della bassa crescita 2018, 2019 e 2020 (per pandemia).
  3. investimenti in produttività del lavoro - ferma solo nel bel paese da un quarto di secolo - quindi in tecnologia e in formazione e nella riduzione del costo del lavoro sono pre-condizione per una sostenibilità del sistema pensionistico, appesantito dalla contro-riforma Conte “quota 100” e dall’azzeramento della crescita del PIL pre-pandemia (sempre made in Conte), che di pari passo hanno portato a una diminuzione degli occupati (sempre pre-pandemia) dopo un lungo periodo di lieve crescita
  4. oggi i lavoratori che versano i contributi pagano le pensioni ai pensionati di oggi (non la loro pensione di domani, come alcuni politici ancora pensano) ed è per questo che si prevede, con un certo ottimismo, che chi oggi inizia a lavorare non andrà in pensione prima di 71 anni 
  5. i contributi versati oggi dai lavoratori non bastano a pagare le attuali pensioni e la fiscalità generale integra con oltre 30 miliardi l’anno, quindi parte delle pensioni le pagano tutti i contribuenti 
  6. le previsioni macroeconomiche della Ragioneria Generale dello Stato per un quadro sostenibile della spesa pensionistica (comunque in crescita costante rispetto al PIL dal 2027 al 2046 per poi calare a seguito dell’applicazione generalizzata del calcolo contributivo) puntano su una costante crescita della produttività del lavoro, oggi ferma, fino a un +1,3 nel 2030 e un +1,5 nel 2050. Prevedono altresì una crescita del PIL fino a un +2,1% nel 2030, nel 2019 pre-pandemia era stata pari a +0,3. Il tasso di disoccupazione, 9,3 nel 2020, è previsto che cali fino al 7,6 nel 2030. Le previsioni demografiche prevedono un flusso migratorio netto pari a 162 mila persone di media in più all’anno fino al 2070 e un tasso di fecondità che “dovrà” passare dall’1,24 del 2020 all’1,47 nel 2030. È certificato dunque che una politica economica che non persegua crescita, più produttività del lavoro, più occupati, più regolarizzazioni di migranti, sarebbe in contrasto con gli obiettivi dei governi e la sostenibilità del sistema pensionistico.
  7. sono erogate ogni anno più pensioni anticipate in Italia che di vecchiaia e la media dell’età effettiva di pensionamento - anche per gli effetti di quota 100 e di un numero di misure in deroga ai 67 anni senza pari in Europa - è di 61,8, più bassa della media OCSE di 1,3 anni
  8. le prestazioni pensionistiche sono suddivise in prestazioni previdenziali e assistenziali, queste ultime - invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra – sono in costante aumento da una decina di anni e pesano per circa 23 miliardi l’anno. 
  9. i vari interventi di riforma approvati a partire dal 2004 hanno generato una virtuosa riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al PIL pari a circa 60 punti percentuali cumulati al 2060. Di questi, circa un terzo è dovuto agli interventi previsti con la riforma del 2011 (cosiddetta Legge Fornero, art. 24 della L 214/2011).
  10. se dovesse essere abbassata l'età pensionabile come in sostanza chiede Landini avremmo, tra l’altro, un effetto drammatico sui mercati, uno spread galoppante, miliardi in più di interessi da pagare, l’Unione europea sul piede di guerra, le agenzie di rating decreterebbero carta straccia il nostro debito. Ovviamente Draghi, come nessuno in passato, garantisce al Paese la fiducia indispensabile dell’UE e dei mercati.
  11. quasi il 50% di pensionati non è stata in grado di versare neppure 15/17 anni di contributi regolari, per via, in primis, dell’enormità dell’economia sommersa italiana
  12. la spesa sociale in Italia è elevata e cresce a ritmi insostenibili, i trasferimenti a carico della fiscalità generale sono passati dai 73 miliardi del 2008 ai 114 del 2019, 41 miliardi in più all’anno, un aumento annuo superiore al 4% non giustificato dal peggioramento delle condizioni sociali di una parte della popolazione

 

In conclusione, ogni misura, demagogicamente richiesta, non volta ad alzare gradualmente l’età effettiva di pensionamento, non volta a ridurre la spesa a carico della fiscalità generale a integrazione dei contributi versati dai lavoratori, non volta a ridurre il divario tra la retribuzione media dei lavoratori e l’importo medio delle pensioni, non volta a investire in formazione per allineare alla domanda immigrati e giovani, non volta a far crescere la produttività del lavoro, corrisponde a un attentato ai diritti dei giovani, dei lavoratori attuali e dei pensionati di domani. 

Continua a leggere

Ultime News

Scrivi un commento

Controlla la tua e-mail per un collegamento per attivare il tuo account.