Di Luca Monti
L’Istat calcola che ci sono 99mila donne in meno al lavoro a dicembre rispetto al mese prima. Ma come, il blocco dei licenziamenti discrimina? Il tappo non è ermetico ma nemmeno discriminatorio. Semplicemente impedisce di interrompere i contratti, normalmente quelli a tempo indeterminato, che per genere ed età appartengono in prevalenza a uomini e ai lavoratori più maturi. Il mercato del lavoro è quindi molto chiuso e discriminatorio. Lo è in particolare con le donne e con i giovani, che popolano l’occupazione precaria e incerta, meno tutelata. Infatti, al di là del flusso del singolo mese di dicembre, scopriamo che la popolazione delle donne occupate si è ridotta di 300mila unità nel 2020, mentre quella maschile (che conta già 4 milioni di occupati in più) si è ridotta di soli 132mila. Anche i giovani occupati tra i 17 e i 34 anni hanno perso per strada circa mezzo milione di occupati. Ecco i veri dati su cui riflettere.
Queste informazioni raccolte dall’Istat ci dicono che il mercato del lavoro, che utilizza sempre più contratti a termine, colpisce lì dove potremmo e dovremmo trovare le migliori risorse per la ripresa.
È un chiaro indicatore di dove puntare su politiche attive del lavoro, su regole, su incentivi.Di fronte alla sfida e con l’opportunità di canalizzare risorse di investimento per servizi, progetti e settori che facciano ripartire il sistema paese, scopriamo che l’economia green e digitale può avere la fisionomia e il profilo dei giovani e delle donne. Sviluppare filiere innovative in questi ambiti non richiede forza e muscoli ma competenze. L’indicazione è chiara, ci sono grandi giacimenti di competenze disponibili che devono essere attivati attraverso strumenti di politiche attive del lavoro, moderne ed efficienti.
È anche l’occasione per ripensare a nuovi modelli di gestione e sviluppo delle risorse umane per quei cantieri di innovazione industriale e tecnologica abilitati dai fondi del Next Generation EU.
Su questo modo diverso di guardare al Piano di Ripresa è necessario sperimentare formule nuove che riguardano per esempio le politiche di conciliazione e alla fisionomia stessa del lavoro. Si pensi a come lo smart working apra scenari nuovi che non abbiamo ancora esplorato appieno nella loro potenzialità. La flessibilità è stato il mantra di questi due decenni, che ha usato la leva del tempo come durata. Il paradigma dei prossimi anni sarà il lavoro smart, che usa il metro dell’obiettivo e del risultato intrecciato con il contenuto sempre più sofisticato e meno fisico delle professioni.
Queste caratteristiche sembrano appartenere proprio a giovani e donne e lo saranno sempre di più.
Su questo nuovo scenario, il Next Generation è un’occasione imperdibile per sperimentare anche un nuovo modello di lavoro. Se dovessi pensare a una condizionalità, tutta italiana, per l’accesso ai fondi, punterei su questo.
Certo i dati sono un campanello di allarme ma allo stesso tempo un punto di partenza. Indicano un giacimento da valorizzare. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di politiche e di politica per scrivere un new deal per il new normal che sta arrivando.