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TIM e la partita per un asset strategico della sicurezza nazionale

Di Paolo Costanzo

Come noto, nei prossimi giorni, il Consiglio di Amministrazione di TIM dovrà esprimersi sul documento di offerta recapitato dal Fondo US Kkr. La proposta dovrebbe contenere gli elementi che possano permettere al board di decidere se consentire la due diligence confirmativa richiesta dal fondo. Ad oggi si può parlare solo di indiscrezioni e l’auspicio è che il Consiglio di Amministrazione si esprima quanto prima anche al fine di evitare che le asimmetrie informative incidano in modo improprio sulla generalità degli azionisti e quindi sul pubblico risparmio. Il progetto sembrerebbe centrato sulla separazione dell’attività connessa ai servizi, da quella infrastrutturale e quindi sullo scorporo della rete che verrebbe poi offerta alla Cdp a riassetto completato. Il riassetto dovrebbe prevedere iniezioni di capitali e una razionalizzazione delle attività finalizzata al miglioramento della posizione finanziaria netta del Gruppo, la cui entità non ha permesso di effettuare gli investimenti necessari a migliorare l’estensione della rete infrastrutturale sul territorio e a sostenere l’innovazione tecnologica. La rete telefonica rappresenta un asset strategico per la sicurezza nazionale su cui il PNRR, nell’ambito della Missione per la transizione digitale, ha previsto notevoli investimenti finalizzati, tra gli altri, alla realizzazione delle reti ultraveloci. L’offerta sarà sicuramente subordinata al mancato esercizio dei poteri di Golden Power da parte del Governo. Su questo aspetto si è aperto un dibattito fra chi sostiene che in un libero mercato la Golden Power non dovrebbe essere esercitata e chi sostiene il contrario.

Senza voler entrare nelle vicende storiche che hanno condotto il Gruppo a privare l’Italia di un campione tecnologico che avrebbe potuto contribuire ad una maggiore crescita del Paese, sarebbe necessario soffermarsi su ciò che potrebbe determinare un monopolio infrastrutturale governato da un investitore istituzionale le cui finalità non possono che essere quelle di realizzare una maggiore remunerazione per i propri quotisti (i sottoscrittori del Fondo).

Il Digital Divide del nostro Paese è determinato, oltre che da una assenza diffusa di competenze digitali, dalla inadeguatezza delle infrastrutture materiali. Infatti, nonostante la rete di accesso fissa e mobile alla banda larga si sia evoluta negli ultimi anni, il Digital Economy and Society Index (DESI) pone il nostro Paese al di sotto della media europea per copertura e velocità della rete di accesso. Per colmare questo gap saranno necessari investimenti anche nelle aree nelle quali non è assicurato il ritorno dell’investimento. Oltretutto, l’infrastruttura di rete rappresenta un asset grazie al quale si realizza la libera concorrenza dei fornitori di servizi digitali e di connettività. Sarebbe pertanto auspicabile che la proprietà della rete infrastrutturale possa permettere una governance che sia in grado di evitare comportamenti speculativi proprio per assicurare la libera concorrenza nella fornitura di servizi che acquisteranno sempre di più un valore strategico per la crescita del Paese.  Occorrerà pertanto che il Governo presti una grande attenzione agli investimenti previsti sul territorio e alle dinamiche economiche e proprietarie del riassetto che qualificano le intenzioni del Fondo, con particolare riferimento al destino della rete infrastrutturale, assolutamente centrale nell’ambito di un mercato dei servizi digitali che operi in un regime di libera concorrenza.

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