di Emma Bonino
Tra i tanti scrittori che sono stati parlamentari, Leonardo Sciascia è stato di tutti il più intimamente politico, come politica è stata tutta la sua letteratura, anche quando raccontava, nella forma del giallo, dell’apologo o della “cronachetta”, la storia di personaggi d’invenzione o di figure nascoste nelle pieghe della storia letteraria e civile.
Da "il contesto" a "Todo Modo", dal "Candido" a "L'affaire Moro" Sciascia ha saputo prevedere e leggere con grande anticipo la crisi della Prima Repubblica e dei due maggiori partiti, la DC e il PCI, che erano protagonisti della nostra democrazia bloccata, detenendo l'uno per decenni il monopolio del governo e l'altro quello dell'opposizione. In quel fallimento, in quella incapacità di assicurare una alternativa democratica e di promuovere il rinnovamento politico, è l'origine dei nostri problemi attuali, che si ripropongono ogni volta in maniera sempre più drammatica. Avversario intransigente del compromesso storico e di ogni consociativismo nella gestione del potere, Sciascia negò sempre di avere particolari doti profetiche, rivendicando per sé, come avvenne nella tragica vicenda di Aldo Moro, solo la capacità di saper guardare in faccia la realtà.
La sua passione per la giustizia, non come potere, ma come garanzia dall’arbitrio di qualunque potere – a partire da quello giudiziario – ha costituito tanto la trama dei suoi libri, quanto quella del suo impegno pubblico. Questa passione gli ha fatto incrociare – mi verrebbe da dire: inevitabilmente –la storia radicale e lo ha portato con i radicali a combattere battaglie impopolari e coraggiose, come sul caso Tortora, fondate sempre sul primato del diritto e della ragione e su una resistenza illuministica a ogni conformismo e a ogni pregiudizio, non solo negli avversari politici.
A trent’anni dalla sua morte, l'idea della giustizia in Italia è rimasta quella di cui Sciascia ha sempre denunciato la sinistra parentela con la cultura dell'Inquisizione, in cui finiscono impigliati molti suoi personaggi letterari. Chi si sforza di raccogliere il testimone del suo impegno, prima di omaggiarne la grandezza, dovrebbe oggi onorarne il pensiero, che rimane ostinatamente eretico e contrario a quello prevalente.
Per parte mia, continuo a pensare che il modo migliore per dare seguito agli insegnamenti di Sciascia sia lottare ogni giorno in Parlamento contro una deriva che pare inarrestabile, tra fine “pena mai” e “fine processo mai”, e magistrati e pubblici accusatori trasformati, nel Parlamento e non solo, in giustizieri e vendicatori del popolo.