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Riagganciare la ripartenza o cavalcare date e proteste?

Di Anna Lisa Nalin

Piccole-medie-grandi imprese, partite IVA, lavoratori autonomi e professionisti, dipendenti in cassa integrazione e disoccupati: l’intero sistema produttivo Italia è sulla linea dello start, in attesa del via per la ripartenza. Si tratta di milioni di protagonisti, piegati dalla pandemia che li ha costretti al ruolo di semplici comparse, se non di spettatori.
Guardano a Mario Draghi ed alle imminenti mosse del suo governo per il prossimo scostamento di bilancio, precisamente il primo a firma del premier: circa 40 miliardi che andranno ad aggiungersi ai già 107 erogati dal luglio del 2020 in poi, per memoria storica.

Sono, tuttavia, le RIAPERTURE, quello a cui tutti aspirano: chi con senso di responsabilità, chi con paziente attesa, chi con paura di perdere i frutti del lavoro di una vita, chi con frustrazione e rabbia (anche pilotate), come quelle scoppiate nella piazze di Roma negli ultimi giorni.

L’accelerazione del piano vaccinale è - o dovrebbe essere- il rimedio razionalmente condiviso per far funzionare il paradigma: senza salute pubblica non può esserci ripresa economica.

Ovviamente, questo non basta. Adesso occorrono interventi mirati a sostenere le imprese e gli operatori che hanno subito le maggiori perdite per alleviarne le sofferenze e stimolarne la ripresa. Non si deve dimenticare che la crisi ha colpito in modo asimmetrico con comparti ridotti allo stremo, mentre altri ne stanno beneficiando.

Confcommercio ha calcolato che sono andati persi 160 miliardi di PIL e quasi 130 miliardi di consumi, oltre che sono sparite dal mercato 300.000 imprese del commercio non alimentare e dei servizi (di cui circa 240.000 esclusivamente a causa della pandemia) e 200.000 attività professionali.

Tra i settori più colpiti c’è il turismo che con l’indotto rappresentava il 13% del PIL e il 14% degli occupati, pari a circa 200 miliardi: -60% di fatturato, -53% di prenotazioni, -51% di presenze, pari a 192 milioni di turisti svaniti nel nulla (dati del Centro Studi Confindustria).

Causa chiusure, aperture e ri-chiusure, la ristorazione italiana nel 2020, ha bruciato 38 miliardi di euro.

Nel 2020 la perdita economica del solo settore palestre (e club sportivi) può essere valutata, ad oggi, a 2 miliardi con oltre 200.000 professionisti rimasti senza lavoro (International Fitness Observatory). Il comparto culturale e ricreativo, tra cinema, teatri e spettacoli dal vivo, ha perso oltre  un miliardo. E questo impietoso elenco potrebbe continuare a lungo.

Per questo sul tavolo di discussione ci sono, ora, provvedimenti impattanti su costi fissi, liquidità e patrimonializzazione, oltre che sostegni selettivi non più a pioggia, per i settori in forte sofferenza: stop alla rata Imu di giugno per gli immobili commerciali ed alla tassa di occupazione del suolo pubblico, nuova moratoria sui mutui, credito d’imposta per gli affitti commerciali, allungamento dei tempi per la restituzione dei debiti garantiti.

Si aggiunge la consapevolezza della necessità di procedere con l’allentamento delle misure restrittive appena possibile, soprattutto per le attività all’aperto, oltre che per quelle attività one2one che possano garantire rigorosi standard di sicurezza come, ad esempio, i personal training nelle palestre o i servizi offerti dalla categoria dei parrucchieri, altra categoria fortemente colpita.

A poco servono, ora, le ricette, spesso sommarie, sbandierate ad ogni occasione pubblica volte ad ottenere qualche percentuale in più per i ristori allargati ad un numero non precisato, e magari non qualificato, di imprese e soggetti produttivi.  Cavalcare date e proteste, stile Matteo Salvini (ma non solo lui e non solo la Lega) davvero non serve, soprattutto se si sostiene di voler “supportare” Draghi, mentre, in realtà, si alimenta il malcontento di attuali e future nuove lobby elettorali.

I 2.852 emendamenti presentati solo al Senato fanno capire la tentazione di minare il consenso attorno al Presidente del Consiglio, nella migliore della tradizione dei vizi italici. Servono, invece, unità, condivisione di strategia, decisioni concrete e di immediato sollievo.

La partita è quella per ricostruire il nostro futuro, non quella di chi sventola meglio la bandierina delle riaperture.

Non è questo il tempo per cinici calcoli di convenienza da parte dei partiti sia di maggioranza che di opposizione. E’ il tempo della responsabilità, quella vera.

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