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No, non è vero che gli immigrati ci rubano il lavoro

da una analisi della Fondazione Moressa in collaborazione con Moneygram

Parallelamente all’aumento della presenza straniera in Italia, negli ultimi quindici anni è costantemente cresciuto il numero di occupati stranieri, passati da 965 mila del 2004 a 2,5 milioni del 2018. Naturalmente è aumentata anche l’incidenza sul totale degli occupati, passata da 4,3% a 10,6%. La crescita più intensa si è verificata fino al 2014, quando si è superata la quota del 10%, per poi stabilizzarsi negli ultimi anni per via di diversi fattori: il calo degli ingressi di stranieri per lavoro, le acquisizioni di cittadinanza italiana, la ripresa dell’occupazione autoctona.

Ad una prima occhiata, l’incrocio delle curve degli occupati italiani e stranieri potrebbe far pensare ad una correlazione negativa, con il calo degli italiani conseguenza dell’aumento degli stranieri durante la crisi.

In realtà si può notare come la curva degli occupati stranieri sia di fatto indipendente, ovvero in costante aumento dal 2004 grazie all’aumento della popolazione straniera residente (3 milioni nel 2008, oltre 5 nel 2018). Anzi, possiamo affermare che sono stati proprio gli stranieri a risentire maggiormente della crisi economica, con un tasso di occupazione sceso dal 66,9% del 2004 al 58,3% del 2013, per poi tornare al 61,2% nel 2018. Per gli italiani invece il tasso di occupazione è passato dal 57,2% del 2004 al 55,2% del 2013, per risalire al 58,2% nel 2018.

La lenta ripresa a cui abbiamo assistito negli ultimi anni ha riguardato sia italiani che stranieri, con un aumento degli occupati: nell’ultimo anno sono cresciuti sia gli occupati stranieri (+1,3%) che quelli italiani (+0,8%), così come sono aumentati i tassi di occupazione per entrambi i gruppi.

Va inoltre considerata un’anomalia del mercato del lavoro italiano: a livello europeo, infatti, l’Italia è uno dei pochi paesi con un tasso di occupazione più elevato tra gli stranieri che tra i nativi. Questa distanza trova giustificazione innanzitutto nel fatto che la normativa italiana vincola il permesso di soggiorno alla condizione lavorativa, spingendo gli immigrati ad accettare posti di lavoro anche se inferiori alle aspettative. Ma questo fenomeno deriva anche da un aspetto interno al mercato del lavoro, ovvero la forte componente di autoctoni inattivi, soprattutto donne nel Sud Italia. Infatti, se analizziamo il tasso di occupazione per aeree territoriali, gli stranieri continuano ad avere tassi di occupazione più elevati solo al Sud, mentre sia nelle regioni del Nord che del Centro l’occupazione è maggiore per i nativi rispetto agli stranieri, in linea con i dati europei.

Andrebbe inoltre tenuto presente che gli occupati stranieri non sono affatto un gruppo omogeneo. Per quanto riguarda la nazionalità, ad esempio, si riscontrano forti differenze nella composizione di genere, nelle professioni svolte e nei tassi di occupazione e disoccupazione.

Il fatto che la crisi abbia inciso su entrambi i gruppi appare ancora più evidente osservando l’andamento dei disoccupati. I disoccupati italiani e stranieri cominciano ad aumentare nel 2007, raggiungendo il picco massimo nel 2014 e poi cominciare a diminuire. Nel 2007 il tasso di disoccupazione era 5,9% per gli italiani e 8,3% per gli stranieri ed è raddoppiato in circa 8 anni, raggiungendo nel 2013 il picco massimo di 17,2% per gli stranieri e 11,6% per gli italiani.

Infine, per completare l’analisi del mercato del lavoro dobbiamo tenere in considerazione un aspetto fondamentale come l’andamento demografico. L’Italia sta affrontando già da diversi anni quello che i demografi hanno definito “inverno demografico”, ovvero una fase di invecchiamento e calo complessivo dovuta a diversi fattori: bassa natalità, elevata speranza di vita, aumento dell’emigrazione e calo dell’immigrazione, solo per citare i più rilevanti.

Le conseguenze di questo fenomeno si manifestano già oggi nel calo della popolazione in età lavorativa (15-64 anni): tra gli italiani questa componente è scesa da 36,8 milioni del 2004 a 34,7 milioni nel 2018. Gli stranieri hanno di fatto arginato questo fenomeno, mantenendo costante il volume complessivo oltre i 38 milioni.

E’ evidente che gli effetti di fenomeno si faranno sentire sempre di più negli anni a venire, con effetti sul mercato del lavoro e sulla tenuta dei conti pubblici, dato che la popolazione anziana porta costi maggiori in servizi chiave come sanità e pensioni.

In questo contesto, dunque, appare chiaro che il contributo degli immigrati sarà decisivo per il nostro Paese, considerato che essi hanno un’età media più bassa e sono prevalentemente in età lavorativa.

Un primo aspetto evidenziato da questa ricerca è l’importanza della componente straniera dal punto di vista demografico, come freno al calo della popolazione. Veniamo però, a questo punto, alla domanda di fondo: l’aumento dell’occupazione straniera ha tolto opportunità agli italiani?

I dati evidenziano che gli occupati italiani e quelli stranieri hanno caratteristiche molto diverse tra loro.

Gli occupati italiani sono mediamente meno giovani ed hanno dei titoli di studio più elevati: Il 47% degli occupati italiani ha un diploma, mentre la metà degli stranieri ha al massimo la licenza media. L’Istat evidenzia un peggioramento negli ultimi anni dei titoli di studi degli stranieri segno che il nostro Paese attrae immigrazione meno qualificata.

Dall’analisi dei settori economici si vede come il peso dell’occupazione straniera cresce in particolare nel settore agricolo (18%) e nelle costruzioni (17%). Oltre un milione di stranieri occupati si colloca nelle “altre attività dei servizi”, inclusi i servizi collettivi e personali ovvero le attività maggiormente legate alla cura delle persone. Rispetto al 2017 la crescita della manodopera straniera si registra in particolare nei settori dell’agricoltura e dell’industria, mentre commercio, alberghi e ristoranti hanno registrato un calo. La crescita occupazionale italiana è dovuta all’industria e alle altre attività dei servizi.

La complementarietà tra italiani e stranieri appare più evidente dall’analisi delle professioni: la maggior parte degli occupati stranieri svolge professioni non qualificate (33,3%), mentre il 39% degli occupati stranieri trova impiego nelle professioni qualificate e tecniche. Inoltre, appena l’1,1% degli occupati stranieri è dirigente o quadro, a fronte del 7,7% degli italiani.”

Per fare ancora più chiarezza, analizziamo le professioni più diffuse tra gli italiani e tra gli stranieri. In primo luogo, è evidente la forte “segregazione occupazionale” degli stranieri; con il 61% concentrato nelle prime dieci professioni (tra gli italiani solo il 34%). Inoltre, se per gli italiani nelle prime professioni troviamo profili medio alti (impiegati, tecnici della salute, professori e tecnici), gli stranieri si concentrano nei lavori meno qualificati.

Tra le professioni più ricoperte dagli stranieri, l’assistenza domestica è quella più “gettonata”: il 12,4% degli stranieri infatti è collaboratore domestico (o assimilato) al quale non viene richiesta alcuna particolare qualifica professionale. Ma spesso la specializzazione viene comunque ricercata anche tra gli stranieri: si tratta ad esempio di ricoprire mansioni qualificate nei servizi personali (11%) come personale qualificato di servizio alle famiglie, alla sorveglianza di bambini o all’assistenza personale e nelle costruzioni (6,2%) come muratori, carpentieri, falegnami. Nella lista seguono gli occupati nelle attività di ristorazione (8%), il personale non qualificato nei servizi di pulizia (6,3%) e nella consegna e spostamento di merci (5,3%). Con percentuali inferiori si trovano i braccianti agricoli (4,3%), gli addetti alle vendite (3,1%), gli stranieri autisti di veicoli a motore (furgoni, camion) ed infine gli occupati nelle rifiniture edili (posano tetti, pavimenti ed intonaci).

Un ulteriore elemento è dato dall’incidenza degli stranieri per ciascuna professione.

Se l’incidenza media degli occupati stranieri sul totale è del 10,6%, questo valore varia enormemente a seconda delle mansioni.

Il lavoro domestico è quello con più stranieri in assoluto: il 67,6% tra i collaboratori domestici (personale non qualificato addetto ai servizi domestici) e il 55,8% tra gli assistenti familiari (professioni qualificate nei servizi personali, c.d. badanti).

Il peso degli stranieri sta diventando sempre maggiore anche nel personale non qualificato dell’agricoltura (pescatori, pastori, braccianti agricoli), nelle costruzioni (come manovali nell’edilizia civile), nei servizi (addetti nella pulizia negli esercizi alberghieri, uffici) e nel commercio. Del tutto esclusi o quasi gli stranieri in professioni più qualificate come i professori, gli specialisti nelle scienze giuridiche, gli ingegneri o i bancari.

Il mercato del lavoro italiano si sta quindi sempre più polarizzando, con alcune professioni (lavori manuali o poco qualificati) sempre più di prerogativa straniera, mentre gli italiani si stanno spostando verso professioni più qualificate, liberando le fasce produttive più basse. Senza la manodopera immigrata, molto probabilmente scomparirebbero badanti, colf, braccianti agricoli, muratori e manovali, professioni poco appetibili per i giovani italiani.

Infine, rimane da analizzare la questione salariale. Il gap retributivo tra stranieri e italiani deriva da un insieme di fattori che portano ad uno svantaggio salariale per gli immigrati: la professione poco qualificata, l'occupazione nei settori poco produttivi e la frammentazione delle carriere lavorative (che limita le progressioni legate all’anzianità) sono tra le cause principali. Su queste problematiche incidono anche meccanismi normativi che, legando la permanenza sul territorio alla condizione occupazionale, inducono i lavoratori stranieri ad accettare lavori poco tutelati o sottopagati.

Non va dimenticato inoltre che gli stranieri difficilmente possono contare su fonti di guadagno alternative al reddito da lavoro (affitti, rendite, ecc.) o sul supporto delle reti familiari. La retribuzione mensile mediana per un dipendente straniero è pari a 1.020 euro al mese, il 24% in meno rispetto ai 1.350 di un lavoratore italiano. In termini di retribuzione oraria la differenza è di circa 1,80 euro l’ora: un lavoratore straniero guadagna quindi il 19% in meno di un lavoratore italiano.

Dopo aver analizzato le caratteristiche dei lavoratori stranieri, possiamo tentare di rispondere ad un’altra questione fondamentale: “qual è il contributo dei lavoratori immigrati al sistema nazionale italiano?”

Uno studio della Banca d’Italia stima il contributo dell’immigrazione alla crescita dell’economia italiana: in particolare, nel periodo 2001-11 la crescita dovuta all’immigrazione arriva al 6,6%, mentre in mancanza di immigrazione il valore sarebbe stato negativo (-4,4%). Nell’ultimo quinquennio (2011-16) la crescita grazie all’immigrazione è pari al 3,3%, senza sarebbe stata -6,1%.

Il contributo degli immigrati è quindi decisivo per la crescita del PIL. E’ importante sottolineare che si considerano tutti gli immigrati regolari inseriti nel contesto economico italiano, ovvero i quasi 2,5 milioni di occupati che equivalgono ai 10,6% dei lavoratori totali italiani.

La ricchezza prodotta da questi lavoratori è stimabile in 139 miliardi di euro, ovvero il 9% della ricchezza nazionale. In termini assoluti, la maggior parte del PIL dell’immigrazione è prodotto nel settore dei servizi dove si registra la maggior parte di occupati stranieri (45,1%). Incide maggiormente nel settore degli alberghi e ristoranti (18,6%), nell’agricoltura (17,8%) e nelle costruzioni (17,6%).

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