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L’Europa c’è! l’Italia ancora no.

di Benedetto Della Vedova

Questa non è l’Europa che vorremmo, questi non sono gli Stati Uniti d’Europa. Questa resta una Unione poco comunitaria, troppo intergovernativa e compressa dal diritto di veto dei singoli paesi. Ma questa Unione Europea, l’Europa che c’è, si dimostra anche oggi il destino migliore per un continente di quasi 450 milioni di persone e in particolare per l’Italia.

Il Covid ha colpito tutti, l’Italia per prima, ma le conseguenze economiche saranno più gravi per chi già era fragile e indebitato. L’Italia ha più bisogno di aiuto perché è arrivata a febbraio 2020 con il debito più alto e la crescita più bassa. Non è colpa di Conte, ma Conte con il Governo gialloverde e poi giallorosso ha fatto, su debito e crescita, peggio di chi lo aveva preceduto.

La risposta che si profila da parte del Consiglio europeo è potente: circa 750 miliardi di cui più della metà in trasferimenti a fondo perduto. Un debito comune europeo a lunga scadenza con interessi al minimo di mercato, rimborsato proporzionalmente da tutti ma con risorse destinate dove più serve.

L’Italia riceverà in pochi anni oltre 200 Mld che rimborserà solo in parte, a interessi bassi e in tempi lunghi. Il nostro paese sarà il principale beneficiario di questa solidarietà, assicurata in primo luogo dallo sforzo della Germania e dei paesi arrivati alla crisi con un basso debito pubblico e anni di crescita, in grado quindi di garantire uno sforzo comune di queste dimensioni.

Il meccanismo decisionale è quello che conosciamo, per molti aspetti disfunzionale, ma certamente a suo modo aperto e democratico. I leader discutono e si confrontano apertamente forti (o deboli come nel caso di Conte) delle dinamiche politiche nei rispettivi paesi e parlamenti.

L’esito è un compromesso: al ribasso su alcune voci di bilancio e sulla condizionalità al rispetto dello Stato di diritto, straordinariamente al rialzo rispetto allo zero di partenza.

Considerando lo sforzo epocale della Bce nell’acquisto di titoli, Mes, Sure e Bei, l’ammontare complessivo di risorse e garanzie comuni mobilitato in tre mesi è insperabilmente grande, anche considerando la gravità della crisi.

I vuoti si riempiono: questo era il primo Consiglio europeo di portata storica che non vedesse al tavolo il Regno Unito, da decenni contraltare euroscettico all’asse franco-tedesco. I “frugali” hanno stretto una alleanza politica e, sfruttando questo vuoto, si sono ricavati il ruolo di controparte contrattuale di Merkel e Macron, dai quali è arrivata la spinta politica decisiva per il Recovery Fund.

L’Italia ha alzato l’asticella della propaganda a fini interni oltre il necessario e forse oltre il lecito, apparendo a difesa di una pretesa incomprensibile, quella di chi chiede risorse senza condizioni a dispetto delle storiche incapacità (anche sui fondi europei) e senza voler garantire che riforme e investimenti derivanti dai fondi europei saranno usati solo per colmare i divari nella produttività, riavviare la crescita e controllare il debito. Il sottotesto è questo: siamo troppo grandi per fallire.

Chiedere il Mes e cancellare Quota cento, sarebbe stato un atto di coraggio e di consapevolezza per un paese che si appresta a diventare il “grande assistito” dell’Unione europea. Questo non dobbiamo nascondercelo: da paese che assisteva, saremo un paese assistito dagli altri partner europei, Germania in primis.

In questi giorni la propaganda ha rinfocolato l’orgoglio italiano contro i crumiri del nord, tacciati di egoismo e insensibilità rispetto alle nostre necessità. Crediamo che il nostro orgoglio di grande paese europeo sia già ferito, non dall’Olanda, ma dal fatto che il nostro futuro dipenda dai soldi degli altri. Avremmo preferito una postura diversa del Presidente del Consiglio, come quella che potè assumere Mario Monti forte di riforme fatte per salvare l’Italia, la postura di chi vuole recuperare il suo posto tra i grandi paesi europei impegnandosi al 100% su riforme e investimenti per la ripresa nei prossimi cinque anni, senza dare l’idea che l’obiettivo sia la propaganda per le prossime elezioni (magari quelle regionali).

Non è negativo, anzi, positivo per l’Italia che i trasferimenti siano condizionati a piani di riforme e investimenti vagliati e monitorati insieme alla Commissione europea (il freno di emergenza voluto da Rutte per bloccare i fondi, non potrà essere attivato molto facilmente ma sarà un ulteriore incentivo a fare bene)

La solidarietà non è gratuita, ma interessata. Certo, tutti in Europa conoscono il valore del mercato unico, della forza commerciale dell’Unione nel suo insieme e tutti sanno che i venti di nuova guerra fredda tra Usa e Cina e l’assertività Russa consigliano unità e forza comune. Così come sanno che le sfide globali su ambiente e digitale richiedo economie di scala per ricerca, investimenti e capacità politiche sul piano globale.

Ma questo non cambia il risultato di fondo: il Covid ci ha dato, rispetto a prima, molta +Europa. L’Italia, però, immersa in una discussione emotiva e iperbolica, sembra non avere capito fino in fondo cosa stia accadendo all’Unione, cosa stia accadendo a se stessa e quanto questa occasione per recuperare il ritardo accumulato con cambiamenti e riforme profonde sarà  irripetibile.

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