Generale Vannacci,
recentemente mi è stato prestato il suo libro. Ne ho lette alcune parti e le dico subito che sono in gran parte in disaccordo con le idee che lei esprime. Le rispondo come attivista dei diritti civili e delle libertà individuali oltre che come membro della comunità LGBT+. Non criticherò la forma ma entrerò nel merito delle sue affermazioni e, per esigenze di spazio, solo di alcune.
CONTRACCEZIONE E ABORTO
Lei, lamentandosi che “tutte le collettività evolute hanno il problema di non farli nascere i bambini piuttosto che di promuovere la procreazione”, afferma che preservativi, anticoncezionali e aborto siano stati inventati per non far nascere i bambini. Non è affatto vero. I metodi contraccettivi, siano essi anticoncezionali, preservativi o altri, servono per permettere a donne e uomini di poter praticare sesso in tranquillità senza rischiare una gravidanza indesiderata e una procreazione involontaria in un momento inopportuno. Chi e quando vuole davvero procreare non è costretto da nessuno ad alcun metodo contraccettivo e quindi, liberamente, non lo utilizzerà. Il preservativo, inoltre, serve anche ad evitare la trasmissione di malattie sessualmente trasmissibili, quali, ad esempio, l'AIDS, l'epatite o la sifilide. L'alternativa a non impiegare preservativi e altri contraccettivi è non fare sesso, oppure, con le conseguenze del caso, farlo non protetto. Non è neanche vero che l'aborto sia un mezzo per non fa nascere bambini. Infatti, limitandosi per semplicità all'Italia, la legge 194/1978 stabilisce che “l'interruzione volontaria di gravidanza … non è un mezzo per il controllo delle nascite” e che può essere praticata solo quando vi è “un serio pericolo per la salute psichica o fisica della donna” o per la vita della stessa. Dopo il 90° giorno il “pericolo per la salute psichica o fisica della donna” deve essere “grave” e può derivare solo da “accertati processi patologici tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”. Inoltre, “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere effettuata solo” “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna” “e il medico che effettua l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”. Si deduce che l'aborto è esclusivamente un mezzo per tutelare la donna. Ma veniamo ai numeri. Le statistiche dimostrano che da 40 anni il rapporto di abortività (Numero di IVG per 1.000 nati vivi) e il tasso di abortività (Numero di IVG per 1.000 donne di età 15-49 anni residenti in Italia) sono stati sostanzialmente in progressiva diminuzione mentre il tasso di fecondità (Numero di nati vivi per donna) è variato poco negli ultimi 30-40 anni rispetto ai precedenti. Può trovare numeri e grafici nella Relazione annuale del Ministro Salute sull'attuazione della Legge 194/1978 e nelle rilevazioni dell'ISTAT sulla fecondità. Per tali motivi l'aborto non può essere ritenuto la causa del sempre maggiore calo demografico della popolazione.
FAMIGLIE ARCOBALENO
Lei in sintesi afferma che le coppie di sesso diverso sarebbero “naturali”, che uomo e donna sarebbero figure genitoriali complementari e che quindi tali coppie sarebbero il solo luogo idoneo per l'educazione e la crescita dei figli. Anche questo è falso. Le coppie dello stesso sesso sono altrettanto idonee per l'educazione e la crescita dei figli. Le indagini psicologiche e sociologiche provenienti soprattutto dall'estero ma anche dall'Italia lo confermano. In Italia le famiglie arcobaleno non sono così numerose come in quei paesi in cui alle coppie dello stesso sesso è consentito accedere alla procreazione medicalmente assistita. Anche il fatto che in Italia le coppie dello stesso sesso non possano registrare senza ostacoli i loro bambini all'anagrafe come figli di entrambi i componenti della coppia rende più difficile la formazione di queste famiglie. In ogni caso i dati sono concordi: bambini e i ragazzi che hanno come genitori coppie dello stesso sesso crescono e sono educati altrettanto bene di quelli delle coppie di sesso diverso. Cercare su PubMed per convincersene. Per tale motivo sarebbe giusto permettere anche alle coppie dello stesso sesso di accedere alla procreazione medicalmente assistita, riconoscendo alle stesse non il “diritto alla genitorialità” come lo chiama lei, in quanto un figlio non si può garantire a nessuno, ma il “diritto a ricercare la genitorialità”. Lei afferma che le persone LGBT+ con figli in Italia siano poche. E per forza, dati gli ostacoli. In ogni caso, procreazione medicalmente assistita o no e pochi o tanti che siano, anche i figli delle coppie dello stesso sesso dovrebbero essere tutelati registrandoli all'anagrafe come figli di entrambi i componenti della coppia che si assumono la responsabilità genitoriale, da subito e con tutti i diritti degli altri bambini. Piuttosto che il sesso dei genitori sono la scarsa accettazione sociale e le leggi ingiuste del nostro paese che creano problemi alle famiglie arcobaleno e ai loro figli.
DIRITTI LGBT+
Maggioranze, minoranze e libertà
Lei, a più riprese, rilevando come le persone LGBT+ costituiscano una bassa percentuale della popolazione, affronta il tema dei diritti delle persone e delle coppie LGBT+ come una questione di maggioranza o minoranza. Ebbene lei sbaglia perché i diritti LGBT+ non sono una questione di maggioranza o minoranza. Riconoscere e tutelare questi diritti non cambia e non impone niente a chi non è transessuale o omosessuale. Piuttosto i diritti LGBT+ sono una questione di libertà. Se anche nel mondo vi fosse una sola persona trans questa avrebbe diritto ad intraprendere e completare la sua transizione di genere. E se anche nel mondo vi fosse una sola coppia dello stesso sesso tale coppia avrebbe diritto a veder riconosciuta e tutelata la sua unione.
Nelle scuole
Lei sostiene che temi come l'omosessualità e l'identità di genere non vadano portati nelle scuole. E per quale motivo? Orientamento sessuale, espressione di genere ed identità di genere costituiscono un fatto di cui non si può nascondere l'esistenza. Affrontare positivamente questi temi nella scuola permetterebbe di spiegare alle più giovani generazioni che la diversità sessuale non è un male e che non va temuta. In questo modo si aiuterebbero doppiamente i minori LGBT+ perché da una parte si permetterebbe loro di comprendersi e di accettare i propri pensieri, e dall'altra si eviterebbe o supererebbe il pregiudizio dei coetanei nei loro confronti, prevenendo fenomeni di emarginazione, bullismo e violenza. Inoltre, poiché i minori di oggi saranno gli adulti del domani, in futuro la società sarebbe più inclusiva. A tal proposito lei sostiene che nella società gli episodi di violenza nei confronti delle persone LGBT+ siano meno numerosi di altri. Se anche fosse i responsabili sarebbero comunque da condannare.
DISFORIA DI GENERE
Carriera alias e percorsi di transizione
Lei si scaglia contro la carriera alias nelle scuole felicitandosi che solo un piccolo numero di scuole l'abbia introdotta. Io, invece, ritengo che i ragazzi a cui sia stata diagnosticata la disforia di genere con un’approfondita valutazione medico-clinica dovrebbero poter accedere alla carriera alias per essere a proprio agio all'interno dell'istituzione scolastica. Questo dovrebbe essere possibile in ogni scuola. Tra l'altro una volta adulti per accedere al percorso di cambio di sesso si pretende che l'individuo viva o abbia vissuto un'esperienza di vita come appartenente al sesso opposto per un periodo che va dai sei mesi ai due anni. Come potrà affrontarlo senza la carriera alias? Inoltre, piuttosto che prendersela con la carriera alias per chi non ha potuto iniziare “un percorso psicologico e/o medico volto a consentire l’eventuale rettificazione di attribuzione di sesso” o non ha “la documentazione idonea a comprovare l’esistenza di una disforia di genere, rilasciata da una struttura, centro o specialista di salute mentale”, sarebbe il caso di facilitare l’accesso a questi percorsi medici e il rilascio di tali decumentazioni. Mi spiego. Una volta accertata l'assenza di patologie psichiatriche che possano minare le autovalutazioni della persona (psichiatri e psicologi parlerebbero di meta-cognizione), se tale individuo manifesta una disforia di genere il relativo percorso medico va iniziato in tempi ragionevoli. Gli endocrinologi dovrebbero sentirsi tranquilli di prescrivere i bloccanti della pubertà agli adolescenti, previa un’attenta valutazione completa e caso per caso condotta da un gruppo clinico multidisciplinare. (Contro i bloccanti alla pubertà è stata fatta una vergognosa campagna mediatica di disinformazione antiscientifica.) Dal canto loro gli psichiatri non dovrebbero avere pregiudizi, non dovrebbero rimandare oltre il tempo necessario i loro pareri, e, in ogni caso, dovrebbero astenersi dal somministrare psicofarmaci per cercare di cambiare la mente delle persone con disforia di genere. Una volta ottenuta “la documentazione idonea a comprovare l’esistenza di una disforia di genere” e intrapreso l’opportuno percorso medico, che negli adulti prevede anche la terapia ormonale sostitutiva, la carriera alias potrebbe e dovrebbe essere attivata facilmente e senza alcun indugio. Secondo lei poiché sarebbero solo una cinquantina i ragazzi che hanno chiesto l’attivazione della carriera alias questo offrirebbe la giusta prospettiva del problema. Non sono d’accordo. A mio avviso il numero basso si spiega con il fatto che, come lei segnala, al momento il 92,6% degli istituti scolastici non offre questa possibilità. Dunque gli studenti di tali istituti, se anche volessero, non potrebbero attivarla. In ogni caso, se anche i ragazzi con disforia di genere fossero pochi, questo non significa che non dovrebbero averne diritto.
Desisters e persisters
Lei afferma che la maggior parte degli adolescenti che manifestano sintomi di disforia di genere saranno “desisters” e cioè “con la pubertà superano spontaneamente il problema e ritrovano il proprio benessere con l'accettazione del loro sesso biologico”. Innanzitutto contesto il “ri” davanti a “trovare”. Come si può “ritrovare” qualcosa che magari non si è mai avuto? La disforia di genere si può manifestare già da piccoli (e in genere è così). Semmai, il termine opportuno sarebbe “trovare”. Prendiamo, allora, il termine “trovare” ed ammettiamo pure (per ora) che i “desisters” siano maggioritari. Anche fosse mi chiedo: e allora? Significa forse che per i “persisters”, e cioè coloro che nella pubertà continuano a non accettare il proprio sesso biologico, debba essere precluso un percorso di transizione perché esistono i “desisters”? Secondo me, semplicemente, i “desisters” non sono persone trans e quindi non intraprenderanno il percorso di transizione, a cui nessuno le costringe. Chi invece è veramente trans, e cioè i “persisters”, ha diritto a poter accedere a tale percorso. Ma veniamo ai numeri. Visto che le piacciono gli studi olandesi, le segnalo che lo studio “Continuation of gender-affirming hormones in transgender people starting puberty suppression in adolescence: a cohort study in the Netherland” che può trovare su Lancet, ha mostrato che il 97-98% di chi ricorre ai bloccanti della pubertà in adolescenza a causa della disforia di genere, decide poi di intraprendere altri trattamenti affermativi di genere in età adulta.
Competizioni sportive e non
Lei critica l'apertura ai tornei sportivi femminili delle persone MTF. La verità, al contrario, è che purtroppo da molte competizioni sportive le persone trans MTF vengono escluse. Io ritengo che chi ha completato il percorso di transizione con l'intervento chirurgico ai genitali ed effettua regolarmente la terapia ormonale debba poter avere le stesse opportunità del genere di arrivo e non di quello di partenza. E questo dovrebbe valere non solo per lo sport ma anche per i concorsi di bellezza e i tornei di scacchi, altri “luoghi” di attuale esclusione. In particolare nello sport le differenze di testosterone tra il prima e il dopo fanno una notevole differenza in termini di prestazioni attendibili. Anche lasciando stare per un attimo questo fatto, che lei non considera, le persone transessuali operate che rispettano la terapia ormonale si trovano costrette a scegliere fra non poter partecipare ad attività agonistiche di competizione oppure, avendo ormai visivamente le forme del corpo, genitali compresi, di un certo sesso, a dover gareggiare con il sesso opposto. Non si può non convenire che ciò, oltre che ingiusto, è anche assurdo.
Cosa dice la Scienza
Guardi che il cambiamento di sesso non è un capriccio. Il fenomeno della transessualità fu studiato nel secolo scorso dal sessuologo ed endocrinologo Harry Benjamin che giunse alla conclusione che le persone con disforia di genere andavano aiutate ad intraprendere il loro percorso di transizione e non ostacolate. Più recentemente con il progredire della Scienza alcuni studi scientifici tra il 2000 e il 2018 che può trovare su PubMed hanno dimostrato che alcune parti dell'encefalo delle persone trans, come il nucleo del letto della stria terminale e il nucleo ipotalamico uncinato, sono più simili a quelle del genere a cui sentono di appartenere piuttosto che a quello del sesso biologico, in rapporto alle persone cisgender. Dunque una persona trans è davvero intrappolata in un corpo di sesso sbagliato. Non sorprende che tutti gli approcci psichici, familiari e sociali repressivi dell’identità di genere (ma anche dell’orientamento sessuale) abbiano sempre avuto solo l’effetto di prolungare e intensificare la sofferenza dell'individuo.
Percezione o realtà
Oltre al discorso sui “desisters” dal suo scritto mi pare che lei ritenga anche che l'identità di genere e l'orientamento sessuale non siano innati ma causati da fattori ambientali. Da quanto ne so l'argomento è ancora oggetto di discussione. Secondo alcune ricerche sarebbero innati, secondo altre si svilupperebbero nei primissimi anni di vita. In ogni caso non è questo il punto. Una volta che l'identità di genere di una persona si è sviluppata, va rispettata senza coercizioni e lo stesso vale per l'omosessualità o l'eterosessualità. Lasci che le racconti sinteticamente la mia esperienza, ovviamente solo personale. Ho due genitori di sesso diverso, mi piacciono le donne, sono nata in un corpo maschile ma sempre e fin da piccola mi sono sentita e ho desiderato essere una femmina anche se ci ho messo tanto per capirlo. I genitali maschili mi hanno sempre infastidita e disgustata e mi sono sempre sembrati inutili, al punto che già da piccola avevo manifestato il desiderio di rimuoverli. Alla scuola d'infanzia, inizialmente giocavo e stavo in compagnia solo con la bambine e quando separavano maschi e femmine per attività diverse soffrivo tanto perché dovevo rimanere in una stanza con i maschi, con cui non avevo amici e che facevano tutti giochi che non mi interessavano. (Tranne le costruzioni spaziali che erano monopolizzate da bambini più grandi che non mi ci facevano giocare.) Quindi giravo senza meta per l'aula alla ricerca di qualcosa che suscitasse il mio interesse ma non lo trovavo. Ricordo bene che nel primo periodo alla scuola d'infanzia ero felice solo quando potevo stare con il gruppo delle bambine. Successivamente successero tante cose per cui mi feci degli amichetti maschi e divenni pure il capo della banda dei maschietti. Il tempo poi è passato. La seconda parte dell’infanzia e la prima adolescenza sono state abbastanza tranquille ma dopo il sentimento si è ripresentato ed intensificato. Non accettavo i genitali maschili. Volevo i genitali femminili ed anche il seno, che però non mi sarebbe cresciuto, e mi stavo avviando per avere la barba, che invece non volevo. Non mi piacevano i vestiti maschili. Mi attraevano quelli femminili e mi sarebbe piaciuto indossarli. Inoltre avrei voluto essere una ragazza in mezzo alle ragazze. È stato leggendo un articolo de L'Espresso che mi sono riconosciuta nelle persone transessuali e che ho capito cosa avevo. Inizialmente, per paura del futuro, ho provato inutilmente a reprimere ciò che provavo, sforzandomi di non pensarci più, ma alcuni mesi dopo i pensieri sono tornati fuori ancora più travolgenti. A 18 anni ho cercato di intraprendere la transizione ma fino a 23 anni non c’è stato verso di iniziare la terapia ormonale a causa dell'ottusità di alcuni psichiatri che non volevano rilasciarmi l'opportuno parere da presentare all'endocrinologo. Dopo altre lunghe peripezie (un periodo di “prova” obbligato di più di un anno con ulteriori pareri psichiatrici, la causa in tribunale e i tempi della lista d'attesa sanitaria) solo a 29 anni sono potuta giungere all'intervento di riattribuzione chirurgica del sesso e, finalmente, è stata una liberazione. Per come è stata la definisco una transizione Kafkiana. O quasi tale, visto che alla fine ce l'ho fatta. Negli anni successivi ho effettuato il cambio anagrafico e l'intervento per la voce, sfortunatamente un po' deludente, e varie sedute, ancora non definitive, di epilazione laser contro barba e peli. Seguendo la logica del suo libro tutta questa storia sarebbe stata solo una percezione e non realtà. Inoltre lei paragona il cambio di sesso alla possibilità di farsi cambiare gli anni di età o ad altre ipotesi assurde. Ebbene, mentre il tempo trascorso non può essere fisicamente tolto e la data di nascita non si può cambiare, il sesso fortunatamente sì. L'identità di genere non è una percezione ma una realtà e il cambio di sesso una possibilità che permette di stare bene con se stessi. Cercare di manipolare le nostre menti con le cosiddette “terapie riparative” è tremendamente ingiusto, oltre a fonte di ancora più sofferenza. Piuttosto che cercare di cambiarci, perché non ci accettate come vogliamo essere e supportate nei percorsi di transizione?
CRIMINI D'ODIO
Lei criticando la legge Mancino e quella che fu la proposta di legge Zan afferma che si può dire di tutto, comprese le bestemmia alla divinità ma guai a criticare o fare vignette di cattivo gusto nei confronti “di un nero, di un Rom o di un omosessuale”. Innanzitutto la informo che l'articolo 724 del Codice Penale punisce la bestemmia alla divinità con una sanzione amministrativa pecuniaria. Inoltre a proposito dei reati lei afferma di non capire “la discriminazione delle azioni con rilevanza penale sulla base delle caratteristiche sociali o sessuali delle persone”, afferma che “le aggravanti non possono variare le pene in base al sesso, alla religione o al colore della pelle della vittima" e afferma che "un reato non può essere più reato se rivolto ad un omosessuale piuttosto che a un nero, a uno zingaro o a un Sinti." Lei non vuole cogliere il punto. Rispetto a motivi qualunque, è proprio lo scopo abietto di colpire un individuo per le sue caratteristiche sessuali, etniche o religiose a rendere il reato un'azione più ignominiosa e riprovevole. Dunque ciò deve o dovrebbe costituire un'aggravante. Tra l'altro lei cita tutte categorie di persone che nei secoli scorsi sono state oggetto di persecuzioni efferate. Ed ancora oggi in molti paesi del mondo lo sono le persone LGBT+. Lei, inoltre, ritiene che i discorsi offensivi e discriminanti verso specifiche categorie di persone non vadano perseguiti in quanto opinioni e rivendica “a gran voce anche il diritto all’odio e al disprezzo e a poterli manifestare liberamente nei toni e nelle maniere dovute". Purtroppo dalla Storia europea sappiamo bene a cosa porta la promozione e la diffusione dell'odio e del disprezzo verso particolari categorie di persone. Prima alla morte civile e poi ai campi di sterminio. Furbescamente lei non cita gli Ebrei ma a me il campanello di allarme si è acceso lo stesso. Lei fa finta di non sapere che i Nazisti decisero che individui appartenenti alle suddette categorie di persone non fossero degni di vivere, in base a una diversità, vera o presunta. Nel mondo, invece, c'è e ci deve essere spazio per tutti, indipendentemente dall'etnia e dalle caratteristiche sessuali, e affinché l'odio non dia origine a mostri non può essere mai tollerato. Se si permette agli intolleranti di attaccare la società tollerante allora la tolleranza stessa e con essa i tolleranti saranno distrutti. In questo, da liberale, mi riconosco bene nel “paradosso della tolleranza” formulato nel secolo scorso dal filosofo Karl Reimund Popper, riprendendo le idee dell'illuminista Voltaire.
CONCLUSIONI
In definitiva il suo libro, oltre a riportare numerose sciocchezze, è anche molto pericoloso. La invito ad ammetterlo e a ripensarci. In ogni caso spero che sia la società a rendersene conto ed è questo il motivo per cui la mia lettera è aperta.
Cordiali saluti,
Desideria Mini