Di Ilaria Donatio
Una madre non può essere lasciata sola.
E se chiede aiuto, sfinita, dolorante, dopo ore di travaglio o dopo un cesareo, ha diritto di ricevere l’aiuto di cui ha bisogno dal personale sanitario.
A Roma, un neonato di tre giorni, in piena salute, è morto nel letto dell’ospedale (per ora, la procura indaga contro ignoti per omicidio colposo): è rimasto soffocato sotto il peso del corpo della mamma che, stravolta da 17 ore di travaglio, si è addormentata mentre lo allattava. Per tre notti, lei aveva chiesto - inutilmente - di essere aiutata, ma le infermiere le hanno risposto di no.
Ora, il problema non è il “rooming in” - letteralmente "tenere in stanza" – che non è una pratica obbligatoria ma “raccomandata” dall’Oms per rinsaldare, fin dai primi istanti di vita, il legame tra madre e figlio.
E non lo è perché, sebbene consigliato, si tratta evidentemente di un protocollo che necessita di una serie di attenzioni che l'ospedale deve essere in grado di garantire ai neo-genitori, primo tra tutti, la presenza di personale sanitario preparato e pronto ad assisterli in questa delicata fase della loro vita.
Dunque, quello che è in questione è la stessa possibilità di scegliere se avere o meno un supporto.
E se una madre chiede aiuto e viene lasciata sola oppure - peggio ancora - le si fa notare che se non riesce a provvedere da subito alle esigenze del proprio figlio, allora è una madre inadatta, allora è lei che ha qualcosa che non va, beh, questo è un problema: si chiama violenza ostetrica.
La violenza ostetrica è anche un problema di risorse umane, di formazione professionale, di cultura.
E non si può più rimanere in silenzio.