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La crisi dei tavoli di crisi

di Piercamillo Falasca

A gennaio 2019 c’erano 138 tavoli di crisi al MISE. A luglio sono diventati almeno 158 (forse di più, ma nemmeno i sindacati riescono ad avere cifre precise dal ministero). Parliamo di non meno di 210mila lavoratori, più quelli dell’indotto. Di Maio non partecipa quasi mai a questi tavoli, nonostante la retorica grillina sul sostegno ai lavoratori. Quando vi partecipa, come nel caso dell’accordo con la Whirlpool dell’ottobre 2018, poi non segue la loro implementazione. Fatto il post FB passa la crisi, secondo Giggino.
La verità è che questi tavoli tra imprese e sindacati funzionano solo se chi li convoca - il governo - mette sul piatto soldi, incentivi ad hoc, sussidi, norme speciali. Aiuti che spesso fanno sopravvivere gli stabilimenti per qualche mese in più, finché i soldi non finiscono. Soprattutto al Sud, dove la crisi batte forte, gli incentivi concessi attirano imprenditori avventurieri non troppo solidi.
Ma è davvero così che l’Italia può contrastare il rischio di deindustrializzazione? No, evidentemente.
Organizzare quei tavoli serve a fare belle foto (con la faccia preoccupata di chi fa finta di occuparsi dei drammi altrui), illudere lavoratori e pubblica opinione che esista “una soluzione” e a rimandare invece i nodi strutturali.
Una politica industriale seria e lungimirante non può avere il passo dell’emergenza continua né quella del sussidio straordinario, da cui peraltro sono escluse le tantissime realtà più piccole, meno rappresentate, meno appariscenti.
Occorre ribaltare il quadro, immaginando politiche valide per tutti, semplificazione e alleggerimento burocratico, una riduzione robusta e significativa delle tasse per chi investe in Italia, una maggiore efficienza della giustizia civile, un piano infrastrutturale intelligente. Soprattutto, serve dare l’idea che in Italia i contratti, le leggi e gli accordi vengono rispettati.

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