di Francesco Tomasini
Girando per Tbilisi, c'è una cosa (oltre ai cani e alle enoteche) che si incontra praticamente ovunque: la bandiera europea.
Nonostante la Georgia sia geograficamente in bilico sul confine con l'Asia, pervasa da variegate influenze culturali, i suoi abitanti non nutrono dubbi sulla loro identità europea.
Ed è per questo motivo che, pur non essendo parte dell'UE, hanno iniziato spontaneamente ad applicarne le leggi nel proprio Stato.
La Presidente della Georgia, Salomé Zourabichvili, ad agosto ha affermato: "Vogliamo entrare in tutti i settori: cultura, istruzione, trasporti, economia. A questo punto avremo tutto tranne lo status di paese membro, tranne il diritto di votare ed essere rappresentati all’interno delle istituzioni europee”.
Ora, io non so se la Georgia sia pronta per entrare nell'UE: il divario economico è evidente, specie se ci si allontana dal centro di Tbilisi. E non è il solo.
Eppure, l'ostinato desiderio di questo popolo di far parte dell'Unione, plastico in quella marea di blu che ne colora le strade, rende ancor più evidente la follia di chi dentro ci è già e vorrebbe soltanto uscirne.
In Gran Bretagna come, purtroppo, anche da noi.
Speriamo un giorno di trovarci insieme ai fratelli georgiani a cantare l'Inno alla Gioia e non, invece, con quelli britannici a consolarci sulle note di Passenger:
"Only know you love her when you let her go"