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Il fallimento di reddito di cittadinanza, quota 100 e decreto dignità nel creare lavoro pre-coronavirus. Tutti i dati aggiornati.

Di Valerio Federico, Tesoriere di +Europa

Da quando il reddito di cittadinanza è in vigore c'è stata una leggera diminuzione di chi cerca lavoro e uno stop alla crescita degli occupati, il contrario di ciò che sarebbe dovuto accadere per i governi Conte che hanno introdotto e confermato questa misura.

Nel periodo di applicazione di Quota 100 c’è stato un calo delle assunzioni, e non il contrario, a seguito dei pensionamenti anticipati, e con il decreto dignità si è avuta una consistente riduzione della crescita degli occupati e negli ultimi mesi anche un calo dei contratti a tempo indeterminato.

La situazione di emergenza che viviamo ha portato a una sorta di, comprensibile, rimozione collettiva dei risultati economico-finanziari portati dai governi Conte: aumento della pressione fiscale, mezzo punto in più nel 2019, tipica misura di quell'austerità che Luigi Di Maio racconta di voler contrastare; decelerazione della crescita dei consumi, nel quarto trimestre 2019 addirittura in flessione rispetto al trimestre precedente, non succedeva dal primo trimestre del 2014; la peggiore flessione della produzione industriale da 6 anni a questa parte; aumento della spesa improduttiva; PIL sotto zero e aumento del rapporto debito/PIL; investimenti fissi lordi fermi da tre trimestri; un quadro complessivo che limita oggi, quando ce ne sarebbe più bisogno, la possibilità di intervenire.

Ma in quest’occasione mi soffermerò sui provvedimenti narrati come utili a creare lavoro e che hanno, a questo fine, complessivamente fallito.

Il reddito di cittadinanza fu promosso in primis come una misura di reinserimento nel mondo del lavoro, e meno per la sua qualità di aiuto monetario per gli indigenti, in questo senso il fallimento è evidente. Il reddito di cittadinanza disponibile da aprile 2019, avrebbe dunque dovuto spostare persone dalla condizione di inattivo – chi non cerca lavoro – a quella di disoccupato – chi lo cerca – e in seguito, naturalmente, di occupato. I dati del periodo aprile 2019 - febbraio 2020 ci dicono invece che il tasso di inattività è leggermente cresciuto (da 34,25% a 34,53), dato che è pressoché stabile già da novembre 2016. Sono invece stabili gli occupati nello stesso periodo da 58,95% a 58,94%, occupati che invece sono cresciuti costantemente da maggio 2014 a marzo 2019 (+3,5% in 5 anni). Il 2019 è stato l’anno con la crescita di occupati più bassa negli ultimi 6.

Il reddito di cittadinanza non ha sostanzialmente creato lavoro, né spinto chi non lo ha a cercarlo. Al 10 dicembre, dopo aver ottenuto il reddito di cittadinanza, erano 28 mila le persone che hanno avuto un contratto di lavoro, meno di quelle che lo hanno perso. Il 71% di questi 28 mila hanno firmato un contratto a tempo determinato o di apprendistato, è interessante notare che proprio il ricorso a queste tipologie di contratto è stato limitato dall'altra misura dei governi Conte, il decreto dignità.

Per creare lavoro serve investire e i governi Conte non si sono contraddistinti in questo senso per contrastare il rallentamento dell’economia globale che, indubbiamente, hanno subito.

In merito a “quota 100”, la misura in vigore da febbraio 2019 ha portato una decelerazione della crescita dell’occupazione, da febbraio 2019 a febbraio 2020 questa è cresciuta dello 0,25%, meno che nello stesso intervallo di tempo precedente (febbraio 2018 - febbraio 2019 dove si ebbe un +0,55%). Non solo non c’è stata una crescita di posti di lavoro come conseguenza dei pensionamenti anticipati in corso, ma si è verificata una leggera perdita di questi, aldilà di ciò che ognuno sa: che le imprese assumono per le opportunità che si aprono sui mercati e non perché qualcuno va prima in pensione.

I dati dell’osservatorio sul precariato dell’INPS confermano che la misura, non ha avuto effetti positivi sulle assunzioni complessive del settore privato: queste sono state 481 mila in meno nel periodo febbraio 2019-gennaio 2020, rispetto al periodo febbraio 2018-gennaio 2019.

In Italia chi è andato in pensione nel 1995, riceve due euro per ogni euro di contributo pensionistico versato. Nel 2017, grazie alle varie riforme, ultima la “Fornero”, chi è andato in pensione riceve 1,2 euro per ogni euro versato. È forse inutile precisare che è sulle generazioni più giovani che pesa questo privilegio e che quota 100 ci fa tornare indietro, mantenendo anche per il futuro quote di pensione retributiva per chi anticipa l’età di pensionamento. Se poi consideriamo che l’Italia è il Paese con la durata della vita lavorativa più breve tra i 27 Paesi membri dell’Unione europea, è facile capire come quota 100 sia la misura più pericolosa e depressiva.

Il decreto dignità, che ha limitato il ricorso all'uso dei contratti a termine e aumentato i costi di licenziamento per i contratti a tempo indeterminato, è in vigore dal 14 luglio 2018, ma solo dopo una fase di transizione, a partire dal 1° novembre, è applicato integralmente. Considerando i dati da novembre 2018 a febbraio 2020, gli occupati sono cresciuti di 28 mila unità. Per poter confrontare questa crescita con un periodo precedente nel quale fosse in vigore solo il jobs act, evitando dunque il periodo di transizione, e che consideri gli stessi mesi, è necessario tornare all'intervallo novembre 2016 – febbraio 2018 che ha portato una crescita di occupati largamente maggiore, pari a 294 mila. Il periodo precedente, novembre 2015 – febbraio 2017 portò una crescita di 373 mila occupati, anche in quel caso il dato è stato nettamente superiore a quello attuale.

Considerando solo le assunzioni a tempo indeterminato nel solo settore privato, queste da novembre 2018 a gennaio 2020 sono cresciute rispetto al periodo corrispondente precedente novembre 2017-gennaio 2019 (+84 mila), più che compensate, però, dal calo delle assunzioni avutesi con le altre tipologie di contratto nel confronto tra gli stessi intervalli di tempo (-579 mila tra i contratti a termine, in apprendistato, stagionali, in somministrazione e intermittenti). Se invece consideriamo solo gli ultimi tre mesi di cui disponiamo dei dati, novembre 2019-gennaio 2020, le assunzioni con contratti a tempo indeterminato sono calate di 44 mila rispetto a novembre 2018-gennaio 2019, i primi tre mesi che videro il decreto dignità applicato integralmente.

Insomma, la “lotta alla precarietà”, obiettivo propagandistico di questo decreto, è, ad oggi, persa, oltre che di dubbia utilità in considerazione del fatto che il numero dei contratti a termine in Italia è perfino sotto la media dei Paesi dell’area euro (dati 2018), 13,4% contro 13,9 e che nel periodo di rilancio post-emergenza che affronteremo, aver reso più difficile il ricorso a contratti “leggeri” potrebbe rivelarsi un ennesimo autogol.

Rispetto alle tre misure trattate, in vigore da novembre 2018, febbraio e aprile 2019, è utile anche segnalare che i redditi da lavoro dipendente sono cresciuti nel 2019 dell’1,95%, il dato peggiore dal 2015 e che le retribuzioni lorde sono cresciute dell’1,69%, il dato peggiore dal 2015.

E' infine necessario considerare le ore lavorate per dipendente, in considerazione del fatto che l’occupazione può crescere anche impiegando per meno tempo i dipendenti, con il ricorso, ad esempio, alla cassa integrazione o al part time involontario – relativo a chi accetta un orario ridotto in assenza di una alternativa a tempo pieno, la media europea tra i 15 e i 29 anni di occupati con part time involontario è al 28%, in Italia è all’80% - , non è dunque un segnale positivo la decrescita delle ore lavorate per dipendente. Ebbene il dato aprile-dicembre 2019 è mediamente il peggiore dal 2016 (2016=100,3, 2017=99,5, 2018=99,5, 2019=98,9).

Dei 27 Paesi dell’Unione europea, a parte la Grecia, l’Italia è l’unico che ha la produttività per ora lavorata nel terzo trimestre 2019 pari a quella che aveva nel terzo trimestre 2010, negli altri 25 Paesi questo dato chiave dell’economia nazionale è cresciuto mediamente di circa il 10%. Solo gli investimenti in tecnologia, sviluppo, rivoluzione digitale e formazione (da legare all'offerta di lavoro) possono far crescere questo dato alla base del PIL e di tutti i parametri al PIL connessi.

Quota 100 e reddito di cittadinanza costeranno rispettivamente 40 miliardi in 10 anni e 26 miliardi in 3 anni (2020-22) e la spesa da garantire su queste misure ha ridotto lo spazio per interventi straordinari utili, in questa fase di emergenza, per i moltissimi lavoratori che avranno minori introiti.

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