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Finanziamento dei partiti: fare di necessità virtù democratica

di Benedetta Dentamaro, Più Europa Bruxelles « In Europa »

La recente campagna elettorale per le europee ha reso evidente che il migliore programma politico non basta se non si hanno mezzi adeguati per diffonderlo. Questo ci porta ad alcune considerazioni sul finanziamento dei partiti moderni.

Storicamente, la principale forma di finanziamento era il tesseramento: si pensi ai partiti nati dall’associazionismo cattolico e sindacale. Pero’ sempre meno gente si iscrive a un partito politico: le entrate da tesseramento sono passate, in Italia, dal 43% negli anni ’50 al 17% negli anni ’80. Al contrario, i costi della democrazia aumentano. Prendiamo l’esempio degli Stati Uniti, dove non solo le spese per le elezioni presidenziali sono molto elevate ma si duplicano, considerata la campagna di mid-term. I candidati possono ricevere donazioni da privati e gruppi di interesse di vario tipo (istituti finanziari e assicurativi, case farmaceutiche, società immobiliari… fino a studi legali, associazioni sindacali e di categoria, e persino case da gioco e scommesse), e più spesso tramite i comitati elettorali.

Inoltre, i contribuenti possono indicare nella dichiarazione dei redditi di voler destinare 3 dollari al fondo per le elezioni presidenziali. Alcuni candidati, tuttavia, preferiscono raccogliere piccole donazioni individuali fino a 200 dollari - è il caso di Alexandria Ocasio-Cortez - per motivi diversi: dal non volersi « vincolare » al donatore, alla maggior fiducia che il sostegno individuale ingenera negli elettori. Ma anche per non dover sottostare ai limiti quantitativi, stabiliti dalla commissione elettorale federale, che variano a seconda del donatore e del destinatario: da 2.000 dollari all’anno per candidato a 106.500 dollari annui per il partito nazionale.

In Italia  il sistema di finanziamento va a vantaggio dei partiti che hanno una rappresentanza parlamentare e una presenza sulla scena politica più longeve.

A seguito della progressiva riduzione dei rimborsi elettorali, le risorse dei partiti (non dei gruppi parlamentari) sono diminuite del 62% e provengono per lo più dalla devoluzione di parte delle indennità dei parlamentari e consiglieri regionali eletti. Dal 2014 i contribuenti possono destinare il 2 per mille dell'Irpef al finanziamento di un partito politico. Inoltre, ciascun individuo o società può versare donazioni per massimo 100mila euro annui. Tuttavia, questa possibilità è sfruttata da meno di 3 contribuenti su 100.

Secondo i dati pubblicati all’inizio di quest’anno dal ministero dell'economia, i partiti che nel 2018 hanno beneficiato maggiormente del 2 per mille sono stati il PD (7 milioni di euro, pari alla metà dell'intero tesoretto proveniente dall'Irpef) e la Lega (3 milioni). Il M5S ha scelto di non aderire a questo sistema, ma impone ai propri parlamentari di devolvere 300 euro al mese, che, nell'ipotesi di completare la legislatura, equivale a 5,9 milioni di euro in cinque anni.

Come si puo’ assicurare l’attività dei partiti, anche di quelli più piccoli o fuori dagli organi elettivi? Percorrendo la disciplina del finanziamento dei partiti in Europa ritroviamo alcuni principi generalmente riconosciuti e raccomandazioni internazionali (Commissione di Venezia dell’OSCE; Raccomandazione 2003/4 del Consiglio d’Europa; Regolamento UE n. 1141/2014 sul finanziamento dei partiti politici europei).

1. La ricetta più diffusa è un mix di fonti pubbliche e private.
Il finanziamento pubblico diretto puo’ declinarsi secondo vari parametri: numero di seggi, numero di mandati, numero di iscritti…. Quando la ricevibilità dei finanziamenti pubblici è condizionata al raggiungimento di una certa percentuale di voti, quella percentuale dovrebbe essere inferiore alla soglia di sbarramento per entrare in un organo elettivo. Cio’ al fine di prendere in conto i partiti minoritari o non rappresentati. I sussidi forfetari sono quelli che più tutelano i piccoli partiti. Quanto alle donazioni private, se da un lato coinvolgono l’elettore, dall’altro bisogna fare attenzione a non creare sudditanza rispetto al donatore.

2. Solo assicurando la trasparenza e pubblicità delle fonti si tutela la par condicio tra i partiti. Le fonti di finanziamento devono essere rendicontate e i bilanci pubblicati ed esaminati da un auditor indipendente, al fine di scoraggiare la corruzione. Ma è necessario un bilanciamento con la privacy del donatore, per cui solitamente l’obbligo di pubblicare le donazioni scatta a partire da un determinato importo. Le donazioni di entità significativa devono essere tracciabili: cosi’ si possono scoprire, per es., un certo numero di transazioni effettuate dallo stesso conto; o un certo numero di donazioni provenienti da impiegati della stessa azienda, cosa che puo’ rivelare un aumento degli stipendi finalizzato al finanziamento indiretto di un partito da parte di quell’azienda.

3. C’è bisogno di regole, di sanzioni contro i trasgressori ma anche di incentivi. La regolamentazione delle donazioni private non dev’essere troppo restrittiva, altrimenti potrebbe stimolare finanziamenti « clandestini ». Le violazioni devono essere sanzionate con misure quali il sequestro delle donazioni illecite, la revoca dei finanziamenti pubblici, la riduzione dei seggi e l’interdizione dai pubblici uffici. Inoltre, alcuni sistemi prevedono misure per incentivare l’accesso alla politica e ai finanziamenti da parte delle donne, che tradizionalmente ricevono meno risorse rispetto ai colleghi uomini. Interessante il caso della Romania, dove la recente modifica della legge sul finanziamento dei partiti ha introdotto – tra l’altro – l’incremento dei finanziamenti pubblici in proporzione al numero di seggi ottenuti da candidate donne.

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