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Elezioni Usa: perché stiamo con Joe Biden e Kamala Harris

di Benedetto Della Vedova

Gli americani scelgono oggi il loro presidente. La loro decisione, più di sempre, segnerà (anche) la nostra vita; e non solo quella politico istituzionale.

Trump ha diviso l’America come non mai. Non si è inventato la contrapposizione tra due Americhe, ma l’ha usata, amplificata, cavalcata e, soprattutto, ha saputo mettere un pezzo di America contro le istituzioni (che l’avrebbero tradita). La sua gestione della pandemia, irragionevole, antiscientifica e faziosa fino al negazionismo, ha forse incrinato ma non sembra aver rotto il filo con cui Trump ha legato a sé a questa America.

Nessuna sfumatura, nessun rispetto o sacralità per la funzione di capo della più importante democrazia della storia del mondo.

Nessuna “grazia di Stato” ha accompagnato Trump in questi quattro anni.

Sta qui, per me, il segno più negativo della sua presidenza: aver trasmesso dentro e soprattutto fuori dagli Usa l’immagine di una democrazia senza più solennità, dove le regole non stanno sopra, ma sotto le scelte degli eletti.

Certo, se Trump oggi è ancora il possibile vincitore è perché l’economia pre Covid, in linea con l’ultima presidenza Obama, ha proseguito la sua crescita e perché lui, spregiudicato miliardario newyorkese, ha saputo presentarsi come il portavoce degli outsider e delle loro ragioni.

Ma la sua presidenza, in nome di una “America Great Again”, ha sdoganato nazionalismo ed interesse di breve periodo degli USA come unico orizzonte del “suo” popolo americano.

L’attacco al multilateralismo non è mai stato così ostentato e senza appello come nella sua presidenza.

Commercio internazionale e globalizzazione sono state modellate sugli interessi e le convinzioni più radicate degli americani, ma Trump è riuscito a presentare gli USA come vittime dell’internazionalizzazione dei mercati. E, facendo questo, ha condotto negoziati sulla base della forza e sulla base di accordi bilaterali, piuttosto che sulla implementazione o riscrittura di regole generali volte a facilitare la crescita ordinata del commercio internazionale.

L’Unione europea ha il DNA opposto a quello del Trumpismo: multilateralismo, stato di diritto e cooperazione internazionale versus nazionalismo. E Trump, non a caso, si è scagliato con inusitata violenza contro l’Ue, “creata per trarre vantaggio dagli Usa”, sostenendo la Brexit e invitando l’Italia a seguire l’esempio britannico.

Approccio opposto a quello del suo predecessore, Barak Obama, per il quale “L'Unione Europea è una delle maggiori conquiste economiche e politiche dell'era moderna...Per gli Stati Uniti, ma per il mondo intero, abbiamo tutti bisogno di un’Europa prospera, forte, democratica”.

In questi giudizi opposti su di noi, sull’Unione europea, ben si concentrano due visioni del ruolo delle democrazie nel mondo e di quella americana in particolare.

Questa è per me una ragione sufficiente, insieme ad altre, per augurarmi che questa notte si chiuda con un nuovo Presidente Usa, Joe Biden, che sappia guardare ad un futuro di cooperazione con l’Europa, sulla base dei comuni valori di apertura e democrazia e dei comuni interessi di medio periodo. Dai nuovi paradigmi digitali (tecnologici, economici e sociali) ai cambiamenti climatici o alle pandemie, il confronto tra democrazia liberale e totalitarismo sarà inevitabile, e il prevalere delle democrazie liberali tutt’altro che scontato. Stringere anziché allargare l’Atlantico sarà compito, speriamo, di Biden e dell’Unione europea.

Con una avvertenza, chiunque sia il vincitore: nessuna illusione di un ritorno a decenni passati in cui agli Usa delegavamo la nostra difesa e il ruolo degli stati democratici nel mondo.

Quello che Trump dice in modo irricevibile sulla Nato, ad esempio, è quello che con buone ragioni e spirito costruttivo, pensano in molti a Washington.

Per usare le parole di Angela Merkel: “Noi europei dobbiamo prendere il nostro destino nelle nostre mani”.

Con Biden e la sua vicepresidente Kamala Harris, come fu con Obama, potremo fare affidamento su uno spirito cooperativo e maggiore condivisione delle scelte internazionali.

Go Joe!

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