di Luca Lacerenza
Sarò breve, perché lungo è già stato invece il travaglio di questa decisione. Come ho scritto lo scorso settembre, ho riscoperto la militanza, le piazze e i banchetti. Non ne avevo ormai quasi più memoria, nonostante io sia iscritto ad un partito da quattordici anni. Ho riscoperto la militanza grazie alla campagna referendaria “Eutanasia Legale”. In questa bellissima esperienza, in cui mi sono ritrovato un po’ per caso, non ho trovato (quello che fino a oggi è stato) il mio partito. Il PD ha deciso di non decidere. Di temporeggiare.
Il PD, il suo segretario nazionale, i suoi molti ministri, capigruppo, dirigenti nazionali e locali non hanno detto assolutamente nulla su questa questione che veniva dal basso, che tocca la carne viva delle persone, i loro diritti e le loro libertà fondamentali. Eppure senza questi diritti, senza queste libertà, non potremmo nemmeno definirci una democrazia. Questioni che erano alla base della grande alleanza progressista che nel 2007 diede vita al Partito Democratico e oggi sono invece ignorate, dimenticate.
Nel silenzio dei media tradizionali e nel disinteresse dei grandi partiti si sono comunque riempiti di firme montagne di moduli. Raccogliendo quasi quattro volte quelle necessarie. Mentre il PD non ha ancora preso una posizione e non la prenderà stando alle poche parole pronunciate ieri dal suo segretario nazionale.
A questo Partito, che oggi non sento più mio, credo di aver dato tutto, prima come militante e poi come membro di direttivo e di segreteria. Per questo Partito mi sono anche candidato alle amministrative del 2018, in un momento in cui nessuno voleva candidarsi sotto quel simbolo, sotto le sue insegne. Quando cioè la nave sembrava affondare e i magri risultati delle elezioni politiche di quell'anno segnarono il peggior risultato di sempre, sia in termini percentuali che assoluti.
Oggi le cose vanno (apparentemente) meglio per il PD. Forse proprio per questo approccio da sacrestia, un po’ democristiano e un po’ ecumenico, di rinviare tutte le scelte più divisive, il PD è da due settimane in testa alle preferenze di voto, secondo tutti sondaggi.
Ora che la nave ha ripreso a viaggiare nuovamente a gonfie vele (?), posso serenamente valutare di lasciare. Me ne vado, è giusto dirlo, verso una formazione politica da percentuali a una cifra, assai più piccolo del PD, ma che ha incrociato più di altre la mia sensibilità, su molti temi: i diritti civili (come la campagna referendaria Eutanasia Legale), la questione ambientale, il cambiamento climatico e l’Europa. Sì, l’Europa, l’Unione europea e il progetto federalista, difese anche attraverso battaglie scomode, come quella per l’applicazione della direttiva Bolkestein, disattesa dal 2006, a tutela dei consumatori e dei cittadini. Battaglia portata avanti in Parlamento da Più Europa di fatto in solitaria.
È verso questo partito che vado, un partito figlio della tradizione liberale, riformista e radicale. Un partito piccolo si dirà; una piccola nave corsara, certamente, a confronto con i galeoni che imbarcano chiunque e qualsiasi cosa, ma poi rimangono fermi in porto. Un partito piccolo, ma per questo agile e soprattutto scomodo: come scomode sono tutte le battaglie per il cambiamento.