L’accordo sul grano siglato ieri permetterà, se rispettato, di far partire più di venti milioni di tonnellate di cereali bloccati nei porti ucraini e di alleviare la crisi alimentare globale e l’impennata dei prezzi del cibo. Si tratta di un accordo fragile, il cui successo dovrà essere garantito in primo luogo dalla Russia, che ha già dimostrato la sua inaffidabilità e la sua propensione a utilizzare la leva del blocco delle esportazioni di cereali ed energia come arma di ricatto sul mondo. Speriamo bene.
Ma oggi non possiamo limitarci ad affidare a fragili accordi di questo tipo la sicurezza alimentare e la continuità del commercio globale di materie prime agricole oltre il brevissimo periodo, e al tempo stesso non possiamo cedere ma anzi dobbiamo avanzare nella lotta ai cambiamenti climatici e nella salvaguardia dell’ambiente. È necessario produrre di più consumando meno risorse, inquinando di meno.
La scienza e la ricerca ci propongono varietà vegetali in grado di consumare meno acqua, di usare meno pesticidi, che hanno bisogno di meno interventi colturali e quindi di un consumo minore di energia per garantire raccolti abbondanti. Abbandonare i pregiudizi contro il miglioramento genetico delle colture non sarebbe oggi una scelta razionale da fare solo in nome dell’ambiente (e non sarebbe poco), ma anche della sicurezza alimentare del pianeta.