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Di Maio e la legge sulla cittadinanza: quando l'Europa fa comodo ma non c'entra nulla

di Costanza Hermanin
 
A chi gli ha chiesto se il caso di Rami e Adam, i ragazzi nati in Italia ma senza cittadinanza che hanno salvato i compagni a San Donato Milanese, potesse riaprire il dibattito sulla legge sulla cittadinanza,  Di Maio ha risposto che non solo la legge sullo Ius culturae, la possibilità per i bambini che frequentano un ciclo scolastico in Italia di diventare italiani, non è nell’agenda del governo, ma anche che è un tema che va affrontato a livello europeo. Noi saremmo anche d’accordo. Peccato però che l’Europa non può sindacare su come si prende o perde la cittadinanza degli Stati membri e certo il Ministro Salvini non gradirebbe vedersi imporre regole europee su un tema tanto sensibile.
 
Ma il caso di San Donato Milanese dimostra che chi è nato in Italia, o frequenta la scuola assieme agli altri bambini italiani, è avviato su un percorso di integrazione che il divieto di acquisire la cittadinanza può interrompere bruscamente, creando discriminazioni tra i bambini in una stessa classe, tra chi ha la cittadinanza e entra al museo gratis o va in gita, e chi è straniero fino ai 18 anni e magari si vede negare la mensa, vedi il caso Lodi.
 
Il Movimento, che nel 2013 aveva proposto una legge sulla cittadinanza ancora più liberale di quella discussa nella scorsa legislatura, si nasconde dietro il paravento dell’Europa solo quando gli fa comodo. Mentre l’assenza di una proposta di riforma della legge sulla cittadinanza nel contratto di governo, quella sì che genera insicurezza. L’insicurezza che deriva da ragazzi che crescono sentondosi diversi perché non hanno le carte in regola, o che, come ha detto Mahmood dopo Sanremo, si scoprono improvvisamente “stranieri”.

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