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Dal Codice Tributario Unico alla revisione dell'Irpef: 5 temi per una vera riforma fiscale

di Paolo Costanzo

Nell’essenza dei rapporti fra Cittadino, cosa pubblica e Stato, quest’ultimo deve avere bisogni e interessi analoghi ai singoli cittadini che lo compongo. I sistemi tributari dovrebbero assoggettare a imposta i fenomeni economici e distribuire con giustizia i costi pubblici. Lo stesso Einaudi sosteneva che l’imposta progressiva, tipico congegno redistributivo, deve servire allo sviluppo dei beni comuni, della sicurezza sociale e dell’istruzione, concorrendo a ridurre la disuguaglianza dei punti di partenza.

L’articolo 53 della Costituzione stabilisce che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e che il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

I criteri di progressività sono rispettati, nella determinazione del reddito delle persone fisiche attraverso scaglioni di reddito ai quali si applicano aliquote progressive di imposta e la capacità contributiva di ogni individuo è misurata sulla base del reddito prodotto. Esiste poi un sistema di detrazioni, legato ai figli, alle spese mediche, ecc. e di deduzioni, prevalentemente legato alle spese contributive, che rafforza il principio della capacità contributiva. Da un punto di vista formale possiamo pertanto dire che l’articolo 53 della Costituzione sia assolutamente rispettato. Tuttavia, negli ultimi anni, il sistema fiscale italiano ha subito una significativa erosione delle basi imponibili dei diversi tributi a causa di interventi normativi continui e asistematici che hanno prodotto un sistema fiscale poroso, distorsivo e instabile, che ha perso competitività ed efficienza. Le aliquote marginali, per effetto di tali interventi subiscono modifiche ingiustificate che penalizzano eccessivamente gli aumenti di reddito rendendo, in talune circostanze, sconveniente aspirare a crescite professionali.

In altre parole, il sistema tributario del Paese si compone di norme sparse, poco comprensibili e contraddittorie che creano altresì fenomeni di iniquità tributaria. Ciò comporta confusione fra gli operatori, incertezza (Agenzia delle Entrate che interpreta stesse fattispecie in misura differente dalla Guardia di Finanza e Commissioni tributarie che poi decidono in maniera differente sulla stessa materia), costi di compliance improduttivi per le imprese e l’amministrazione finanziaria, ritrosia da parte degli investitori ad avviare programmi di investimento in Italia e, in generale, costi inutili per la collettività. L’incertezza sul fronte fiscale e? quel che più di ogni altra cosa frena la crescita economica, veicolando altrove investimenti nazionali ed esteri. Il Paese ha quindi bisogno di una seria revisione del sistema fiscale che lo renda affidabile e stabile nel tempo, il che presuppone un cambiamento di impostazione culturale nel processo di formazione delle leggi; una riforma fiscale che parta dallo stato del bilancio pubblico, che si ponga l’obiettivo di un riordino del corpo normativo, il quale dovrebbe essere racchiuso in un unico Codice Tributario, e che tenga conto dei fenomeni economici e della reale produzione o manifestazione della ricchezza da assoggettare ad imposizione.

Limitandosi ad una revisione dei meccanismi di progressività nella rivisitazione dell’Irpef, come è stato affermato recentemente senza peraltro ripensare ai meccanismi di formazione della ricchezza da assoggettare a tassazione, oltre che definire impropriamente Riforma Fiscale qualcosa che in realtà è una manovra fiscale, non si muta lo scenario nel quale vi sono tante tasse sui pochi contribuenti che le pagano, poche tasse dagli altri soggetti e zero tasse per gli evasori (si stimano 100 Mld di evasione fiscale). La stessa Commissione Europea, negli anni passati, ha chiesto più volte al nostro Paese riforme del fisco (meno tasse su lavoro e imprese, più sulla proprietà e sui consumi). Occorrerebbe pensare ad un riequilibrio dei carichi fiscali a favore delle imprese e del lavoro il che richiederebbe la revisione dei bonus (cd tax expenditure) e una rivisitazione dell’Iva. Anche i goffi tentativi di ridurre il costo del lavoro attraverso decontribuzioni inutili, i cui effetti si riversano sulla fiscalità generale, sono l’espressione di una cultura industriale che rinuncia alla produzione di qualità. Tali risorse andrebbero dedicate alla formazione e all’innovazione che aumenterebbero la produttività del lavoro anziché alla riduzione del costo che invero ci condannerebbe a diventare il Bangladesh d’Europa. Solo un salto di qualità nella politica economica e fiscale, che si qualifichi per una visione sul futuro, può consentire un aumento della produttività e quindi una crescita sostenibile del PIL che crei le premesse per una riduzione del cuneo fiscale.

Per quanto concerne l’Iva, si potrebbe ipotizzare un intervento sulle aliquote ridotte, sulle quali regna una grande confusione e il cui ambito di applicazione e? molto esteso, sia attraverso l’eventuale aumento di alcune aliquote sia attraverso la riallocazione di beni e servizi tra le diverse aliquote. Questi interventi servirebbero anche a semplificare e razionalizzare il sistema applicativo dell’Iva. Una revisione della tassazione degli immobili, accompagnata da una revisione del catasto da, tempo annunciata, che riveda i valori immobiliari in modo da renderli più coerenti con i valori di mercato, sarebbe auspicabile nell’ottica di un recupero di gettito, ma soprattutto di una maggiore equità. Si renderebbe altresì opportuno alleggerire le imposte sui trasferimenti immobiliari.

Anche per le imposte sulle società (Ires), si rende necessario affermare criteri di semplicità e neutralità. Come: (i) limitando i crediti di imposta a obiettivi chiari e normativamente predeterminati (la Commissione europea ha indicato essenzialmente innovazione e efficienza ambientale, R&D, rinnovo degli impianti per ragioni tecnologiche); (ii) ancorando la tassazione del reddito d’impresa al bilancio civilistico e abbandonando il meccanismo delle “variazioni fiscali” contrattate di anno in anno in sede di legge di bilancio. Sarebbe auspicabile che il sistema si evolvesse verso l’imposizione basata sui flussi di cassa.

In definitiva, una vera riforma fiscale con uno sguardo che vada oltre i semplici annunci, presuppone: (i) semplificazione e coerenza del corpo normativo racchiuso in un Codice Tributario Unico preferibilmente intellegibile per gli operatori economici e per i cittadini; (ii) una revisione dell’Irpef, che tenga conto dei meccanismi di formazione della ricchezza da assoggettare a tassazione; (iii) una revisione della imposta sulle società improntata a criteri di semplicità e neutralità; (iv) una razionalizzazione del sistema applicativo dell’IVA; (v) Una revisione della tassazione degli immobili, accompagnata da una revisione del catasto che riveda i valori immobiliari in modo da renderli più coerenti con i valori di mercato

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