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Così Di Maio prova a svendere i dati degli italiani alla Cina

Di Piercamillo Falasca

C’è purtroppo un filo rosso che lega l’attivismo di Luigi Di Maio e del Movimento Cinque Stelle sulle forniture di mascherine dalla Cina con il tentativo di far partecipare aziende cinesi alle future forniture di beni e servizi digitali della PA, previste dal decreto Cura Italia all’articolo 75.

Facciamo chiarezza. La norma consente alle pubbliche amministrazioni di poter acquistare beni e servizi digitali con una procedura negoziata (senza dunque dover ricorrere a una gara pubblica), scegliendo il fornitore tra quattro operatori economici invitati direttamente a presentare un’offerta.

La decentralizzazione ha lo scopo di accelerare le procedure e favorire una rivoluzione digitale e una smaterializzazione oggi più necessaria che mai, ma sono evidenti i rischi di una eccessiva decentralizzazione in un ambito delicato quale quello dei servizi ai cittadini: la tutela e la protezione dei dati anagrafici, sanitari e fiscali dei cittadini, nonché le informazioni in possesso dei tribunali, delle autorità indipendenti e di qualsiasi altro ente pubblico relative a cittadini e imprese.

C’è chi ha sollevato il tema della necessità di porre un filtro di sicurezza nazionale a tali procedure semplificate, soprattutto avendo a mente le criticità finora avanzate dal Copasir rispetto alle aziende cinesi Huawei e Zte per la loro eventuale partecipazione ai bandi del 5G. Ma queste obiezioni sembrano per ora state respinte dalla ministra dell’Innovazione Paola Pisano (M5S) e dallo stesso Di Maio, che ha sintetizzato a modo suo la questione: “ora la priorità è il coronavirus, tanto più che la Cina è in prima linea nel fornire aiuti all’Italia nella lotta contro l’epidemia”.

Siamo forse “malpensanti”, ma i toni costantemente propagandistici con cui il ministro degli Esteri parla della forniture sanitarie da parte di Pechino, sembrano quasi una strategia di marketing per convincere l’opinione pubblica italiana che il governo della Repubblica Popolare Cinese non sarebbe un rischio per la sicurezza dei dati sensibili dei cittadini, nel caso in cui alcuni servizi digitali fossero affidati a un’azienda cinese, che siano le due citate o altre. A nostro parere, invece, il rischio ci sarebbe e sarebbe elevato.

Non è protezionismo il nostro: non è la nazionalità di un’azienda il problema, ma la sua reale indipendenza dal controllo del governo del suo Paese, in particolare quando sono in ballo i dati e gli interessi dei cittadini.
È cruciale, a nostro parere, che la partecipazione alle procedure negoziate degli enti pubblici sui servizi digitali abbia almeno un filtro di valutazione nazionale, e che gli inviti siano riservati ad aziende che rispondano in pieno alla giurisdizione europea sul trattamento dei dati.

Ringraziamo il governo cinese per le mascherine, ma non vogliamo offrirle i dati dei nostri cittadini.

 

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