di Annalisa Nalin e Giordano Masini
La Cop26 di Glasgow, copresieduta dall’Italia col Regno Unito, si è conclusa con un passo nella direzione giusta ma alla velocità sbagliata, e la velocità è determinante rispetto ai traguardi perché il clima non attende i nostri tempi.
Il Glasgow Climate Pact è un progresso rispetto al passato, sarebbe sbagliato non riconoscerlo e dimenticare che fino a pochissimo tempo fa scontavamo addirittura l’uscita degli Stati Uniti di Trump dall’accordo di Parigi, mentre oggi l’obiettivo di contenere a 1,5 gradi l’aumento globale della temperatura è condiviso da tutti i 196 paesi, e l’Occidente condivide un approccio ancora più drastico di quello sancito dall’accordo.
Ci sono progressi importanti sulla deforestazione e sul metano, sono stati promessi 100 miliardi di dollari a sostegno dei paesi più vulnerabili. Non possiamo però ignorare che il cambio di una parola imposto all’ultimo momento dall’India con il sostegno della Cina, phase down invece che phase out, riduzione invece di eliminazione del sostegno alle fonti fossili di energia, ridimensiona drasticamente il risultato rispetto alle legittime aspettative.
Il giorno dopo Glasgow sappiamo che il cambiamento climatico è ancora una montagna da scalare per l’umanità, che sono ancora da fare progressi che si sarebbero potuti e dovuti fare ieri, e che non sono comunque rimandabili per evitare che l’accelerazione del riscaldamento globale - come giustamente avverte la scienza - spedisca fuori tempo massimo gli sforzi promessi.
La delusione dei milioni di ragazze e ragazzi che in tutto il mondo hanno animato i Fridays for Future è giusta e comprensibile.
Oggi potremmo dire loro di guardare il bicchiere mezzo pieno - anche il traguardo del phase down è un progresso, a ben vedere - ma sappiamo che se anche ieri sono stati fatti dei passi avanti è proprio perché loro finora non si sono accontentati, perché hanno mantenuto alta l’asticella delle aspettative.
Fanno bene a non accontentarsi nemmeno oggi e noi faremmo bene ad essere loro grati, piuttosto che trattarli con paternalismo e sufficienza.
Una parola infine per la scienza: siamo riusciti a prendere consapevolezza dell’emergenza climatica, a superare gli scetticismi e a individuare delle possibili contromisure grazie agli straordinari progressi della ricerca scientifica degli ultimi decenni. Dobbiamo sostenerne ancora gli sforzi, nella consapevolezza che la civiltà si protegge e si sviluppa solo grazie al sapere, alla conoscenza e alla loro applicazione sostenibile.