di Giordano Masini
Quando chiedevamo la trasparenza e la pubblicità dei dati disaggregati della pandemia in Italia e nelle varie regioni non lo facevano per curiosità ossessiva, come qualcuno ci ha detto, o per cercare cavilli a cui attaccarci per contestare il governo o le amministrazioni regionali. Lo facevamo perché sapevamo bene che, banalmente, quattro (o più) occhi vedono meglio di due, e che permettere al pubblico, ma soprattutto alla comunità scientifica, di accedere a dati e metodologie per verificarne la correttezza avrebbe ridotto il rischio di clamorosi errori come quello che ha portato la Lombardia in zona rossa. In Lombardia a quanto pare i guariti non erano stati sottratti dall’elenco dei contagiati, un errore banale che ha avuto conseguenze molto gravi, ma che qualcuno con competenze adeguate avrebbe potuto riconoscere in tempo se solo fossero stati resi pubblici i dati disaggregati, e non solo le somme e i calcoli già fatti. È una lezione di cui è necessario fare tesoro, perché errori simili sono sempre possibili in tutti i campi in cui si dispiega il contrasto alla pandemia, dai tracciamenti ai vaccini. La pubblicità dei dati e delle metodologie è un pilastro fondamentale della ricerca scientifica perché riduce il rischio di errori. E se sbagliare è umano, continuare con un sistema che produce errori e soprattutto impedisce di trovarli in tempo è davvero grave e irresponsabile, e questo vale sia per le regioni che per il governo.