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Cantone lascia l'Anac ed è un peccato. Ma l'Anticorruzione funziona?

di Matteo Di Paolo

L'addio di Cantone all'ANAC è certamente un segnale sintomatico, data la professionalità del giudice, dell'aria che respirano i tecnici non allineati al nuovo padrone gialloverde.

Resta, però, da interrogarsi sullo strumento dell'autorità Anticorruzione. Perché, se da una parte l'Italia vive un cancro corruttivo irrisolto, dall'altra è incomprensibile che si pensi di risolverlo attraverso una autorità che in via preventiva emetta giudizi normativi o specifici su persone e aziende, nel pieno di un delirio dirigista e giustizialista.

L'ANAC ha reso ancora più farraginoso il sistema degli appalti pubblici, senza poter minimamente pensare di risolvere il problema corruttivo con un Grande Fratello che tutto vede e tutto controlla.

Alla trasparenza e alla correttezza dei processi di affidamento pubblici servono regole chiare, un albo nazionale unico che garantisca che l'accesso alle gare sia normato centralmente e basti essere in regola con l'albo nazionale per accedere, una normativa che riduca la discrezionalità degli enti appaltanti, la riduzione drastica degli enti appaltanti (iniziata goffamente dai governi Renzi e Gentiloni e subito emendata dal governo attuale), la centralizzazione degli iter di evidenza pubblica con pubblicità presso un sito nazionale, un sistema di verifica costante dei prezzi, magari algoritmico, per evitare sia i prezzi troppo alti che quelli, preoccupanti, troppo bassi.

Semplificazione e trasparenza con minor discrezionalità significano concorrenza, meno corrotti, maggior qualità.

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