Di Michele Governatori e Matteo Di Paolo
Oltre 20 miliardi di titoli collocati perlopiù a investitori retail per oltre 30 miliardi di richieste. Un successo?
Da un lato sì, perché non era scontato che ci fossero abbastanza soggetti disposti a scommettere contro un default di uno stato che con il disastro in corso veleggia verso un debito doppio della dimensione annuale della sua economia già stagnante prima del virus, e i cui ministri, già da prima del virus, confondono riforme strutturali e introduzione di nuovi strumenti di welfare.
Non si tratta però di un regalo. Questa emissione si è svolta senza procedure competitive, cioè con un rendimento prefissato e che non poteva ridursi in caso di buona accoglienza. Tutti i sottoscrittori riceveranno infatti una cedola dell’1,4% (più 0,8% di premio alla scadenza quinquennale per gli investitori retail che avranno mantenuto per tutto il periodo il titolo) più una componente di copertura dall’inflazione. Un’assicurazione quest’ultima che da qui a 5 anni ha un valore significativo, visto che lo shock d’offerta globale potrebbe vedere l’inflazione rialzarsi di colpo con la ripartenza della domanda.
Si tratta di una remunerazione elevata e quindi costosa per lo Stato? Sì: il giorno dell’emissione il BTP 5 anni (stessa scadenza) aveva un rendimento di mercato all’1,39%, cioè identico alla cedola prevista dal BTP Italia, mentre il rendimento garantito dalla copertura per l’inflazione sarà in più. In altri termini, con questa emissione l’investitore avrà una cedola con rendimento reale (cioè al netto dell’inflazione) pari al rendimento nominale di mercato sulla stessa scadenza. Condizioni favorevoli per gli investitori e costose per lo Stato anche in paragone a precedenti emissioni di BTP Italia di questo stesso Governo che, evidentemente, non confidava stavolta poi tanto sulla fiducia incondizionata dei risparmiatori interni.
Come se non bastasse, un’emissione di questo genere costa anche di commissioni alle banche (un centinaio di milioni come costo probabile) mentre un’asta del Ministero dell’Economia costa zero.
Lunedì scopriremo a quale prezzo il BTP Italia verrà scambiato sul mercato. Se sarà maggiore di 100 (la parità rispetto al valore nominale a cui è stato collocato), la differenza corrisponderà alla cifra che il Tesoro avrebbe potuto raccogliere con lo stesso costo per interessi e che invece ha regalato agli investitori.
Insomma: i nuovi finanziatori non hanno regalato nulla allo Stato. I contribuenti di domani dovranno remunerarli senza sconti, anzi: a premio.
C’erano alternative rispetto a pagare così cara una ennesima tranche di debito? Un’alternativa la sta costruendo l’Europa: il MES. Un prestito a tassi più bassi del mercato (previsti a circa 0,1% per 10 e non 5 anni). Ma il nostro Governo per ora, almeno a parole, sembra deciso a sacrificare quest’opzione sull’altare della retorica. Eppure siamo uno dei paesi che, pagando premi così alti sul proprio debito a differenza di altre economie europee, ne ha disperato bisogno.
Collocare debito addirittura a premio rispetto ai tassi di mercato per nazionalizzarlo è un segno di debolezza, non di solidità. Ora che gli italiani hanno mobilitato circa l’1% dei loro depositi su conti correnti per questa emissione finalizzata a compensare la fuga degli investitori stranieri, più risparmi italiani sono sottratti all’economia reale in ossequio alla retorica nazionalista e antieuropea. Quella stessa economia reale che dovrebbe permetterci di pagare gli interessi.