Di Yuri Guaiana
Oggi è la Giornata internazionale di commemorazione delle vittime di atti di violenza basati sulla religione o sul credo.
È una ricorrenza nuova, stabilita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite solo l’anno scorso (https://undocs.org/en/A/RES/73/296) per via del continuo aumento del numero e della gravità di atti d’intolleranza e di violenza contro persone appartenenti a minoranze religiose in tutto il mondo.
L’intento è di ricordare che gli Stati hanno la responsabilità primaria di promuovere e proteggere i diritti umani, compresi quelli delle persone appartenenti a minoranze religiose, e che la libertà di religione o di credo, la libertà di opinione e di espressione, il diritto di riunione pacifica e il diritto di associazione sono interdipendenti, interconnessi e si rafforzano a vicenda.
Per l’occasione, il Consiglio europeo ha affermato che “In tutto il mondo, troppe persone subiscono discriminazioni a causa della loro stessa identità, oppure di ciò in cui credono o in cui non credono. La persecuzione è diretta contro coloro che manifestano la propria religione o il proprio credo mediante il culto e l'istruzione, o che cambiano o abbandonano la propria religione o il proprio credo.” (https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/08/21/international-day-commemorating-the-victims-of-acts-of-violence-based-on-religion-or-belief-declaration-by-the-high-representative-on-behalf-of-the-european-union/)
Si tratta di un passaggio importante poiché, a differenza delle Nazioni Unite, include giustamente tra le vittime di atti di violenza basati sulla religione o sul credo anche i non credenti e chi abbandona la propria religione.
In questa direzione va anche l’iniziativa di una coalizione internazionale di organizzazioni laiche e umaniste che hanno, per la prima volta, dedicato questa giornata anche all’apostasia, lanciando l'Apostasy Day. (https://www.ex-muslim.org.uk/2020/08/22-august-2020-first-international-apostasy-day/)
Un’iniziativa giustificata anche storicamente dal fatto che la fine di agosto del 1988 segnò l'inizio di una seconda ondata di esecuzioni di massa di apostati in Iran, dopo brevi processisommari.
In Pakistan, non credere in Dio è punibile con la pena di morte secondo una la locale legge sulla blasfemia, mentre in Arabia Saudita, l'ateismo è equiparato al terrorismo.
Il problema riguarda anche noi in Italia, dove, in alcuni contesti, gli apostati rischiano minacce e violenze da parte delle proprie comunità e, a volte, anche delle proprie famiglie e dove la blasfemia rimane un illecito amministrativo.
Come ricorda il Consiglio europeo: “Negli ultimi dieci anni, mediante lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), l'UE ha finanziato progetti volti a promuovere la libertà di religione o di credo per un valore di oltre 22 milioni di EUR in tutte le regioni del mondo”. (https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/08/21/international-day-commemorating-the-victims-of-acts-of-violence-based-on-religion-or-belief-declaration-by-the-high-representative-on-behalf-of-the-european-union/)
Occorre continuare a investire su questo, ma occorre anche abolire le leggi contro la blasfemia, anche in Italia e in Europa, decriminalizzare l’apostasia e lottare contro l’impunità di chi commette violenze e discriminazioni ai danni delle minoranze religiose e di chi cambia o abbandona la propria religione.