Di Carmelo Palma
Se l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri di una norma che consente la parziale regolarizzazione degli stranieri “invisibili” costituisce indubbiamente un passo avanti nella direzione giusta, sull’esito della procedura di emersione pesano ancora una serie di rischi che dipendono in parte dalla “mediazione politica” imposta dal M5S, in parte dai chiarimenti che verranno dai provvedimenti attuativi. Ecco le principali debolezze della disciplina approvata nel Cdm.
1) Non esiste nel decreto alcuna norma che preveda la regolarizzazione per ragioni sanitarie o umanitarie; dunque l’obiettivo di adottare politiche concrete di contenimento della diffusione del Covid-19 nella popolazione immigrata è stato del tutto lasciato cadere;
2) L’emersione del lavoro irregolare è limitata ai settori dell’attività agricola e del lavoro domestico, con una discriminazione socialmente ingiustificabile dei lavoratori di altri settori;
3) Le condizioni concrete – normative e economiche – a cui saranno sottoposti i datori di lavoro (a partire dal contributo forfettario che sia aggiungerà ai 400 euro di “costo pratica”) saranno chiarite con decreti attuativi che dovranno essere adottati entro 10 giorni dall’entrata in vigore del decreto, dunque pochissimi giorni prima dell’inizio del termine per la presentazione delle istanze;
4) L’attenuazione imposta dal M5S dello scudo penale per i datori di lavoro rispetto alle implicazioni del rapporto di lavoro irregolare pregresso comporterà incertezze e rischi che in molti casi costituiranno un disincentivo alla presentazione dell’istanza di regolarizzazione. Questa rappresenta la principale anomalia rispetto a tutte le regolarizzazioni precedenti.
5) La finestra per “l’emersione” – dal 1 giugno al 15 luglio – non è in sé breve, ma coincide con un periodo in cui la ripartenza economica del Paese sarà appena stata avviata e questo potrebbe incidere in negativo sulla propensione all’assunzione di alcuni datori di lavoro.