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Sovranità tecnologica: cosa c'è dietro al mantra della nuova Commissione Europea?

Di Giulia Pastorella*

La presidentessa della Commissione Europea Ursula von der Leyne ha ribadito più volte che per l’Europa è fondamentale ricercare una propria “sovranità tecnologica”. Ma che cosa vuol dire esattamente? E, soprattutto, ci dobbiamo preoccupare? In fondo, è un auspicio suona stranamente simile al sovranismo che tanto spaventa noi liberali.

 

Il problema della dipendenza tecnologica e del protezionismo globale

La ricerca di una sovranità tecnologica europea è una risposta alla preoccupazione che gli Stati europei nutrono rispetto al crescente impatto che le tecnologie straniere hanno sulle catene del valore continentali. Infatti, se da un lato l’Europa riesce a mantenere la propria leadershipsu industry come l’automotive, in molti altri settori le aziende europee faticano ad affermarsi.
In particolare, nel vecchio continente mancano aziende capaci di assicurare un’autonomia tecnologica nella produzione della componentistica per le applicazioni IT e TLC del futuro, a partire dai semiconduttori. La necessità di ricorrere a tecnologie straniere in settori a così alto impatto strategico pone dunque l’Europa in una condizione di subalternità e apre ad un costante rischio di ricatto da parte dei partner-competitor internazionali.

A questo scenario di dipendenza, inoltre, si è di recente affiancato un crescente tech-protezionismo internazionale. Da una parte la Cina, che si era progressivamente aperta alla logica di mercato, sta tornando sui suoi passi, stabilendo barriere non-tariffarie. I nuovi standard di cybersecurity e i severi criteri per trasferimento di dati di recente introdotti, di fatto incoraggiano a preferire le aziende tech locali e le tecnologie autoctone. Ciò non bastasse, molti appalti pubblici sono aperti a sole aziende cinesi.

Dall’altra ci sono gli Stati Uniti che, abbandonato il ruolo di difensori del WTO, con i loro dazi economici, impongono limiti sempre più severi alle persone e alle aziende straniere che si occupano di tecnologie sensibili per la sicurezza nazionale.

 

Che cosa si propone nel concreto?

Data la situazione è naturale che l’Europa risponda cercando di ampliare l’autonomia nello sviluppo di tecnologie chiave per il futuro. Le proposte in campo sono molteplici e arrivano sia da parte della Commissione che dai singoli stati membri.

· Sul fronte difensivo, c’è chi ha pensato di introdurre maggiori regolamentazioni sugli investimenti stranieri nelle tecnologie critiche, restrizioni mirate all’accesso ai fondi europei per la ricerca, e nuove forme di controllo e certificazioni per le tecnologie 5G. Addirittura c’è chi si è spinto a proporre la creazione di un cyber-scudo per le telecomunicazioni basato su tecnologia quantistica, e nuove regole per uno sviluppo etico dell’intelligenza artificiale, come la creazione di un “passaporto” che obblighi le aziende a spiegare come utilizzano l’AI.

· Le proposte offensive prevedono invece maggiore interventismo economico e suggeriscono di utilizzare fondi pubblici per investire in catene di valore strategiche attraverso un un European Future Fund del valore di 100 miliardi di dollari. Su questo fronte la Germania, subito supportata dalla Franca, ha proposto inoltre la creazione di un cloud europeo, chiamato Gaia. Non si tratterebbe comunque di qualcosa di nuovo per l’Unione Europea, che ha da tempo messo in campo alcune iniziative di “sovranità tecnologica”, come il sistema satellitare Galileo, un progetto per sostituire il GPS americano, ma che recentemente ha avuto problemi di funzionamento che ne mettono in dubbio la solidità.

 

Il coraggio di cercare una sovranità senza sovranismo

In questa situazione, per evitare una deriva protezionista, è necessario che mondo liberale spinga i decisori politici a proporre approcci che bilancino l’interesse pubblico con il bisogno di innovazione e le opportunità di trasformazione offerte dalla tecnologia. In particolare, in certi ambiti, come quello delle cyber-norms, delle regolazioni per l’AI o della tassazione delle aziende digitali (la cosiddetta web-tax), per funzionare le decisioni devono essere quanto più globali possibili.

L’Europa è stata storicamente una sostenitrice del multilateralismoe dell’apertura verso gli altri Paesi, con cui ha sviluppato sistemi interdipendenti. Non dobbiamo vedere questa interdipendenza come una debolezza, ma come un’opportunità da difendere e che ci permette di avere maggior influenza sugli sviluppi mondiali.

La difesa della sovranità tecnologica non si ottiene chiudendosi e, per citare proprio la Commissaria durante la sua audizione parlamentare:

«la migliore forma di protezione è l’eccellenza»

Mi auguro che l’Europa non si ritiri in difesa e scelga piuttosto quella che ho definito strada offensiva, impegnandosi a sviluppare i suoi campioni e rendendosi indispensabile sul panorama globale.

 

*Giulia Pastorella è coordinatrice del gruppo tematico "+Europa 4.0 - innovazione, formazione, ricerca" 

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