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Il Coronavirus nelle valli bergamasche. Il racconto di due operatrici sanitarie

Abbiamo raccolto in questo articolo l’appello di Clara e Vanna, due operatrici di uno studio medico di famiglia ad Albino (Valle Seriana, Bergamo) di circa 6000 pazienti, che dal 23 Febbraio si è ritrovata da sola, assieme al  personale sanitario e ai medici ad organizzare autonomamente l’emergenza Covid 19. Le parole di Clara e Vanna sono il grido di disperazione di tanti altri medici di famiglia impegnati quotidianamente sul fronte della lotta al Coronavirus.
Restano le domande:
Perché ancora nessun KIT viene dato al medico di famiglia così da poter visitare e assistere direttamente il proprio paziente? Il medico di base non è considerato, è abbandonato a se stesso, a mani nude, mentre per senso del dovere non abbandona il proprio posto di lavoro. Fino a quanto si abuserà della buona volontà del personale medico e sanitario? Per quanto tempo ancora questa condotta irresponsabile dovrà continuare?
Al 19 Aprile la situazione non è ancora cambiata e intanto la gente continua a morire, purtroppo senza assistenza e il più delle volte con il proprio medico impotente nell’unico suo camice che possiede: la coscienza.
 Mattia Masseroli e Nicola Ghisalberti
 
 
 
IL CORONAVIRUS NELLE VALLI BERGAMASCHE E QUEI MEDICI DI FAMIGLIA LASCIATI SOLI
di Clara Falconi e Vanna Facci.
“Pazienti accolti da tutto il personale con mascherine e guanti, prova della temperatura frontale all’ingresso, amuchina, disinfezione ogni 2 ore dello studio e 2 linee telefoniche sempre attive. Così per giorni abbiamo combattuto da soli contro il virus. Solo dopo una settimana dallo scoppio dell’epidemia ATS provvede al primo rifornimento di DPI destinati ai medici di famiglia con un minimo 1500 pazienti. La fornitura consiste in un camice monouso, dieci mascherine chirurgiche e 2 scatole di guanti in lattice. 
 
Il rifornimento avviene ogni 10 giorni, ma il camice resta sempre quello, i DPI scarsi e spesso inappropriati per poter visitare i pazienti Covid positivi, che continuano ad essere sostenuti solo telefonicamente dal medico di famiglia per via della carenza di personale medico.
Assieme a tanti altri medici di famigli abbiamo continuato a sollecitare l’ATS per avere materiale adeguato al fine di visitare i propri pazienti.  Le nostre voci non vengono ascoltate e intanto la pandemia si allarga; prime chiamate al 112: risposta con tamponi sul luogo e ricovero se necessario, nel frattempo gli ospedali si riempiono a dismisura ed il medico di famiglia riceve almeno un centinaio di telefonate al giorno. 
Poi più nulla! Silenzio! I muri si riempiono di manifesti di persone decedute, sirene non se ne sentono più ed i tamponi in casa non vengono più eseguiti. 
Scarseggia l’ossigeno, i pazienti vengono sostenuti a casa, solo telefonicamente, dai medici ormai impotenti.
Continuiamo a fare pressioni all’ ATS per avere DPI adeguati, mai pervenuti. 
 
Per urgenze immediate, si è visto medici uscire vestiti con sacchi della spesa.
I medici e i sanitari ad oggi, se non sintomatici, non vengono mai sottoposti a tampone.
 
Alla metà di Marzo vengono istituite le USCA. Viene creata una USCA per tutta la Val Seriana, che ha 130.000 abitanti, composta giovani Guardie Mediche che devono essere avvisate dal medico di famiglia per uscire a visitare i pazienti, senza alcuna conoscenza della situazione pregressa del malati. Le Guardie Mediche non sono un supporto al medico di base ma lo “sostituiscono” nelle visite con un esiguo numero di Kit di tamponi al giorno. Bisogna spesso scegliere chi sottoporre a tampone e chi no.
 
La situazione si evolve, ed il 20 Marzo gli ospedali sono pieni, molti sono i pazienti lasciati a casa senza tampone, nè prima nè dopo, così da non poterne stabilire l’avvenuta guarigione.
Viene finalmente ultimato l’ospedale da campo presso la Fiera di Bergamo; i contagi sembrano calare, le polmoniti sono in aumento, ma i tamponi a domicilio non si fanno, la situazione dei contagi rimane confusa. 
I medici di Emergency ed altri sono pronti, salvo scoprire che l’ospedale da campo rimane quasi vuoto perché Regione Lombardia chiede alle RSA, già decimate da morti di Covid 19 di aprire posti letto in “ambiente protetto” a pazienti ancora positivi in convalescenza, il tutto senza comunicarlo ai medici del territorio ed ai cittadini. Quale è la differenza? Se in una struttura ospedaliera un malato peggiora può essere assistito con le cure opportune, mentre in una RSA c’è solo l’ossigeno e il rischio di far partire un nuovo focolaio”.

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