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Ecuador. Vittima dell’austerity o della scelleratezza?

di Giulia Pastorella

Alcuni commentatori di sinistra nell’ultima settimana ci hanno portato a conoscenza di un’altra vittima dell’odiosa austerity: l’Ecuador.

Il Paese è finito sulle prime pagine di tutti i giornali quando il Presidente Moreno ha dovuto lasciare la capitale travolto dalle proteste a causa della sua decisione di tagliare diversi sussidi alle fasce più povere della popolazione. Una decisione obbligata dagli accordi presi con il FMI che, in cambio di un prestito di diverse miliardi di Dollari per dare fiato al Paese reduce tra l’altro da un brutto sisma, ha chiesto al nuovo governo di rimettere in ordine i conti.

Tuttavia, ciò che spesso si omette di raccontare è come si è arrivati a questo punto.

Dal default alla ripresa (della spesa)

Tutto inizia nel 2008 quando il Paese annunciò il default in seguito alla decisione dell’ex presidente maduriano Correa di non pagare più i creditori e ristrutturare il proprio debito sovrano. Fu una decisione politica, non dettata da reale necessità, e molto acclamata anche in Italia (qualche comico genovese arrivò a descriverla come la strada per uscire dalla nostra crisi debitoria).

Fortunatamente per la popolazione ecuadoregna, questa decisione non ebbe risvolti troppo negativi sull’economia, poiché la Cina decise di intervenire all’indomani del default, offrendo immediatamente al Paese un prestito da un miliardo di dollari in cambio di accordi petroliferi (l’economia dell’Ecuador è quasi completamente basata sulla produzione di petrolio).

Grazie a questo accordo e al buon andamento del mercato del greggio, negli anni successivi al default, l’economia ecuadoregna registrò risultati molto positivi, tanto che nel 2012 Fitch riabilitò il Paese sui mercati internazionali cambiando le prospettive sul rating da stabili a positive. In questo periodo di vacche grasse, che durò fino al 2014, il Governo aumentò la spesa pubblica sul Pil al 43% (rispetto al 21% del 2006), facendo schizzare il debito pubblico nello stesso periodo dal 15% al 30% (che diventa 40% se si tiene conto degli accordi di finanziamento con la Cina legati alla fornitura del petrolio).

Chi troppo spende…

Tutte le cose belle – si sa – sono destinate a finire. Come nella miglior tradizione, anche l’Ecuador ha dovuto fare i conti con la maledizione delle risorse, quel fenomeno che colpisce i Paesi produttori di materie prime. Infatti, non appena il prezzo del greggio è crollato (siamo tra la fine del 2014 e l’inizio 2015), l’Ecuador si è trovato strozzato un terribile crollo della liquidità. Incastrato tra il saldo negativo delle partite correnti (alte importazioni e basse esportazioni) e l’impossibilità di stampare moneta (il Paese è dollarizzato dal 2001 in seguito ad una crisi della moneta), il Governo di Correa è dovuto ricorrere ad aiuti esterni per attirare nuovi dollari nel Paese.

Dapprima l’Ecuador ha siglato un accordo con Goldman Sachs, a cui ha ceduto 466.000 once d’oro (su un totale di 845.000 detenute dalla banca centrale) in cambio liquidità; poi ha provato a creare una moneta elettronica legata al dollaro da far circolare sul territorio, con scarso successo.

In seguito al terremoto che ha colpito il Paese nell’aprile 2016, la situazione si è fatta più grave e il nuovo Governo Moreno è stato costretto a chiedere l’intervento del Fondo Monetario Internazionale, che ha erogato un prestito di 4,2 miliardi di dollari, al tasso d’interesse del 5% e scadenze fino a trent’anni, parte di un pacchetto da 10 miliardi garantito da un gruppo di prestatori multilaterali.

A causa della perdurante stagnazione del mercato petrolifero, per ripagare il debito il Paese ha dovuto agire sul fronte degli scambi commerciali, introducendo pesanti dazi e causando un crollo delle importazioni dei beni di consumo del 21%.

La morale della favola

E così arriviamo ai giorni nostri. Dopo anni di politiche economiche scellerate e spese pazze, durante i quali il Presidente Correa decise anche di cancellare arbitrariamente e immotivatamente il fondo di garanzia che serviva a coprire eventuali fluttuazioni dell’andamento del greggio, il Governo di Lenin Moreno si è trovato ad agire anche sul fronte dei sussidi, che nel Paese valgono oltre il 5% della spesa pubblica, per far fronte alle rigide richieste del FMI (un avanzo annuo pari al 3,8% del Pil nel 2020 e un obiettivo del rapporto debito-Pil di -10% in 5 anni).

Insomma, guardando la storia dall’inizio, ci rendiamo conto che ciò che succede oggi è il frutto di decisioni sbagliate e politiche irresponsabili, che hanno lasciato il Paese sul lastrico. Invece di utilizzare gli anni di crescita per consolidare il Paese e – magari – reintrodurre una propria moneta sovrana, il governo socialista di Correa ha preferito elargire mance e dilapidare le risorse a disposizione, lasciando il conto da pagare al futuro.

Una storia già vista molte altre volte e che qualcuno, che da oltre un anno siede al governo, ancora propone come modello vincente per rilanciare il Paese. C’è da aver paura.

 

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