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Appunto sull’emergenza politica

Di Giammarco Brenelli, Angelo Pappadà, Cesare Prevedini, Antonio Savoia, Carlo Visco Gilardi.

L’orientamento politico che ispira la demonizzazione del MES prende le mosse dall’ideologia della spesa senza vincoli, con ricorso al debito rifiutando di pagarne il costo.

La tendenza non è nuova in Italia, e fa parte dei tradizionali nodi storici degli ultimi decenni, ma assume oggi ancor più drammatico rilievo quale fattore definitivo di una crisi sistemica dell’economia italiana e dell’ulteriore processo di isolamento rispetto all’Unione Europea.

Riemerge con il governo Conte, sia nella fase uno come nella fase due, una logica di squisita occupazione del potere, informata l’idea di dirigere il sistema produttivo ed economico con parallela ricerca del consenso attraverso l’utilizzo del deficit per assistenza ai singoli e ulteriore mortificazione della loro stessa iniziativa, deresponsabilizzando di rimbalzo buona parte del sistema produttivo. Tali linee risultano oggi incrementate con l’occasione del virus, che porta anche sotto il profilo istituzionale a plurime deviazioni, oltre al riemergere della vocazione a rivolgersi direttamente al popolo, se non dal balcone oggi attraverso la rete in una fase, certo necessitata ma ampiamente sfruttata, di sospensione della democrazia parlamentare.

Del resto, quanto oggi sta avvenendo, è perfettamente coerente rispetto alla premessa ideologica antiparlamentare già ampiamente percorsa dal partito di maggioranza relativa, ben prima dell’emergenza sanitaria.

Alibi per alibi, riemergono, come altrettanto necessitate dall’urgenza, le vecchie proposte elaborate da un gruppo ristretto di PM, collegato più con la stampa giustizialista piuttosto che con la stragrande maggioranza dei magistrati.

Ritorna dunque, col processo telematico e a distanza il processo inquisitorio e la giustizia sommaria, mentre la congerie di leggi e regolamenti, e di lacci come il codice degli appalti, favoriscono la paralisi, l’incertezza della legge e l’interpretazione più arcigna nei confronti di operatori e singoli, condizionati sempre di più dal panpenalismo.

Cartina di tornasole dell’imbarbarimento del sistema è costituita dalla situazione nelle carceri, ove come ben noto, si verifica la civiltà di un Paese. L’ineffabile e sorridente Ministro della Giustizia, del resto, assiste impassibile alla tortura del contagio che si aggiunge alla pena irrogata.

Interventismo, giustizialismo e sostanziale antieuropeismo (“…Se l’Europa non ci aiuta alle nostre condizioni l’Italia farà da sola.”) hanno trovato il PD di Zingaretti in una condizione vassalla rispetto a Conte e il suo partito verso il quale quest’ultimo, se era possibile, si è ulteriormente sbilanciato.

L’attuale sconcertante scontro sul MES costituisce così l’ultima opportunità politica, pur con le cautele più accorte, per evitare la bancarotta del Paese e ulteriormente incrinare il rapporto con la UE.

Il PD è chiamato dunque a non rinnegare la vocazione europea interpretata dal Ministro Gualtieri, isolato in Italia e con l’unico discreto raccordo con Gentiloni in Europa. Per Zingaretti si tratta oggi di scegliere discutendo con ragionevolezza e distinguendosi da chi usa il MES come fantoccio polemico che accomuna, dalla maggioranza e dalla opposizione, la vecchia coalizione.

Su l’una e l’altra maggioranza di Conte, ovviamente +Europa ha scelto, sin dalle dichiarazioni in occasione della formazione del governo, ed ha oggi in sorte di richiamare le forze riformiste del Paese, minoritarie numericamente e ormai eretiche rispetto all’onda nazionalpopulista in un fronte unico riformista e costituzionale.

Si tratta infatti di aprire una seria riflessione circa il sistema occidentale e i meccanismi del mercato di fronte alle grandi sfide globali del clima, dell’energia, della salute e dell’immigrazione.

Il contesto è certo quello di una collaborazione globale, ove peraltro tra le dittature, integralismi e totalitarismi di ogni sorta e le diverse democrazie, vi è differenza: nè può bastare qualche carico di aiuti per incrinare la solidarietà tra le democrazie, come non può avvenire neanche per un qualsiasi allocco posizionato sotto la scaletta del cargo di interessata propaganda.

Quanto all’Italia, non si tratta di avvolgersi nella bandiera della retorica fatta propria dai nuovi “italiani”, ma di salvare al suo interno quel tanto di garantista europeo e liberale che oggi sembra sopito, in realtà per mancanza di offerta politica, ma che è indiscutibilmente radicato nella società civile dal dopoguerra in poi.

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