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Un cambio di approccio radicale per ridurre il divario generazionale

Di Gerardo Benuzzi

L’evento pubblico Una generazione avanti. Idee per l’Italia che verrà organizzato da +Europa sabato prossimo a Bologna è l’occasione per una riflessione seria su un problema gravissimo, di cui ancora non si ha sufficiente percezione e che colpisce in modo particolare il nostro paese.

La vita di un giovane in Italia, la vita dei nostri figli - oggi come mai in passato - risulta gravata da un debito pubblico elevatissimo e crescente, da un tasso di crescita economico prossimo allo zero e appesantito dal calo demografico in atto, dall’inceppamento di fatto dell’ascensore sociale: in presenza di un allungamento della vita media, i quattro pilastri del welfare sociale - educazione, sanità, pensioni, promozione dell’autonomia personale - risultano, nel loro insieme, sbilanciati drammaticamente in direzione delle fasce più anziane della popolazione.

Vi sono molte fratture nel nostro paese, tra cui quella tra Nord e Sud e quella tra ceti sociali elevati e bassi, ma quella tra giovani e anziani è, in quanto trasversale a tutte le altre divisioni, il fattore potenzialmente più dirompente per la nostra società. Il disagio generazionale - che si sta manifestando attraverso il ritardo che i giovani stanno accumulando rispetto agli obiettivi raggiunti dalle precedenti generazioni - potrebbe sfociare in un vero e proprio dramma sociale, ancora prima che economico: non c’è nulla di più terribile della percezione che, rispetto ai tuoi genitori, il tuo ruolo nella società e il tuo benessere sono in prospettiva decrescenti. Sentirsi inutili o non potere nutrire speranze e aspirazioni di miglioramento per il futuro ha implicazioni negative molteplici, che toccano profondamente la sfera individuale in primis.

I numeri evidenziano in modo brutale questa situazione: da un recente studio Unicef, i Neet (Neither in Employment nor in Education or Training), ossia i giovani che non lavorano, non studiano e non stanno facendo un percorso di formazione, in Italia sono pari a 2.116.000, ossia il 23.4% della popolazione nella fascia di età tra 15 e 29 anni (il 34% nel Sud; addirittura il 47% nella fascia 25-29 anni). Sei su dieci di questi giovani hanno un diploma di scuola superiore o una laurea e il costo sociale ed economico di avere così tanti Neet è stimato oggi in 30 miliardi di euro.

La percentuale è la più alta in Europa e quasi il doppio della media europea (dove è pari al 12.9%): un ulteriore peggioramento rispetto alla situazione certificata dall’Intergenerational Fairness Index del 2016 (basato su tredici indicatori sociali ed economici) che ci collocava al penultimo posto in Europa; in linea purtroppo con il trend previsto dal Club di Latina nel 2014, i cui studiosi elaborarono ventisette indicatori per determinare un Indice di divario generazionale, prevedendone un raddoppio in Italia tra il 2004 e il 2020 (con tendenza a triplicarsi nel 2030).

Una situazione ormai insostenibile, che rende non più procrastinabile un intervento deciso di correzione e una presa di coscienza seria del fenomeno. Vi sono fattori che incidono direttamente sul divario generazionale, tra questi: la disoccupazione; la questione abitativa; il reddito/ricchezza; i mutamenti climatici e ambientali; l’accesso alle pensioni; la mobilità territoriale; l’accesso al credito ed altri ancora. E vi sono fattori che incidono indirettamente sul gap, fattori potenti quali le dimensioni del debito pubblico, il livello di partecipazione alla vita democratica, la legalità.

E’ su questi che bisogna intervenire. Ma come primo punto occorre un cambio di approccio radicale da parte di tutti. Le disuguaglianze intergenerazionali sono frutto di comportamenti e meccanismi anche culturali, profondamente inculcati nella società italiana, che lo stato e i governi succedutisi nel dopoguerra, hanno lasciato proliferare e favorito.

Di fronte all’atteggiamento, da sempre presente nella società italiana, di forte protezione e appoggio da parte dei genitori nei confronti dei figli, lo stato poco o nulla ha fatto per favorire l’emancipazione, l’autonomia e lo sviluppo individuale di questi ultimi, nella convinzione che i genitori sempre potessero fungere, in caso di necessità, da “lenders of last resort”, prestatori di ultima istanza e garanti sine die dei propri figli.
Al contrario, in un’ottica di breve periodo, per fini elettorali che sono via via diventati sempre più evidenti, lo stato ha riversato risorse e implementato politiche economiche a favore delle generazioni adulte in modo scriteriato. Un esempio su tutti è il caso delle baby pensioni introdotte dal Governo Rumor nel 1973, che hanno assorbito una cifra di oltre 150 miliardi di euro sino ai nostri giorni e i cui beneficiari tuttora in vita costano ancora oggi allo Stato più di 7 miliardi di euro l’anno, una cifra non distante da quella dell’altrettanto scriteriata, più recente Quota 100: una completa mancanza di visione di un futuro condiviso e sostenibile, foriera tra l’altro dell’accentuazione delle differenze sociali. Non tutti i genitori sono in grado di aiutare i propri figli; comunque, ove questo avvenga, l’effetto è quello di  una minore mobilità sociale e dell’immobilismo della ricchezza privata, sia mobiliare che immobiliare. In altre parole, si pone un freno allo sviluppo economico.

Quando si parla di cambio di approccio radicale da parte di tutti significa veramente da parte di tutti. Gli individui, tutti noi, dobbiamo dare un contributo personale per lasciare un futuro sostenibile e di benessere (almeno pari al nostro) alle generazioni future: contributo personale nei comportamenti quotidiani, per lasciare un ambiente sano e pulito ai nostri figli e nipoti; contributo personale nella presa di coscienza che vanno evitati atteggiamenti egoistici e lobbistici, che potrebbero penalizzare economicamente le generazioni future; contributo personale nello stimolare i prossimi governi ad agire in questa direzione.

Bisogna infatti chiedere ai prossimi governi che approvino finanziarie dove sia chiaro e calcolabile, per tutte le misure adottate, il contributo a ridurre il divario generazionale esistente. E’ un compito non facile in quanto implica - in presenza di una capacità di spesa molto ridotta a causa del debito pubblico elevato - una redistribuzione di risorse finanziarie importanti a favore dei giovani della fascia di età sino ai trent’anni, e adoperarsi affinché tale redistribuzione, che forzatamente penalizzerà altri, dia un beneficio netto alla crescita economica, così come ci si dovrebbe aspettare nelle società giovani e dinamiche.

Nella pratica, i governi italiani devono uscire dalla logica frammentata di misure parziali, utilizzate come alibi per potere affermare che c’è attenzione per il problema giovanile. Devono invece stabilire una dotazione di risorse ben precisa, volta ad affrontare nel suo complesso - per poterlo ridurre veramente - il divario generazionale. Un Fondo Giovani che operi su varie parti del bilancio statale: scuola, formazione, tassazione, lavoro, casa, semplificazione burocratica, aiuti per l’accesso al credito.

Un Fondo dedicato di almeno 15/20 miliardi di euro, di cui nove recuperabili da abolizione / modificazione di reddito di cittadinanza e quota 100 e quattro da riduzione/efficienze nei consumi intermedi della pubblica amministrazione. I restanti andrebbero recuperati da altre voci di bilancio nonché attraverso forme temporali di solidarietà da parte delle altre classi di contribuenti.

Gli obiettivi e le misure di questo Fondo dovrebbero essere prioritariamente:

a) combattere  la disoccupazione giovanile: necessari investimenti in alternanza scuola-lavoro, in formazione professionale, per incentivi all’assunzione di under 30;

b) contrastare la tendenza all’abbassamento dei livelli retributivi e ridurre i gap salariali a livello di retribuzione netta: decontribuzione totale sino a 25 anni e regressiva sino a 30 anni sia fiscale (IRPEF) che contributiva (INPS);

c) favorire l’autonomia personale e il distacco dalla famiglia: detrazione canoni di affitto per nuovi nuclei familiari (da determinare importo e durata), fondo garanzia mutui prima casa;

d) sostenere l’imprenditorialità giovanile: semplificazioni legali e fiscali per nuove imprese e facilitazioni per l’accesso al credito.

Solo con un approccio globale, radicalmente nuovo rispetto a quello attuale, si potrà porre un freno all’impoverimento delle generazioni future, verso cui si sta procedendo senza averne coscienza, e allo sviluppo personale e sociale delle classi di età più giovane.

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