Putin sta finanziando la sua guerra grazie al gas che vende a noi europei.
Di fronte al genocidio degli ucraini, non possiamo più restare a guardare.
E’ ora di deputinizzare l’Italia, a cominciare proprio dallo stop all’acquisto di petrolio e gas di Mosca e puntare sull’energia pulita.
Abbiamo un patrimonio di idee e progetti sulle rinnovabili che ad oggi è bloccato dalla burocrazia e dall’inerzia amministrativa a vari livelli.
Soltanto dal 2018 ad oggi, a fronte di più di 24.000 MW di progetti eolici presentati, ne sono stati autorizzati solo 583 MW.
E di quasi 37.000 MW di progetti fotovoltaici, ne sono stati autorizzati solo 3.566.
I procedimenti sono talmente lunghi che l'80% dei progetti autorizzati non può essere costruito perché ormai tecnologicamente obsoleto e per questi deve essere chiesta una variante autorizzativa. Occorre “sbloccare” in fretta le centinaia di progetti eolici e fotovoltaici incagliati nelle Regioni che aspettano da anni di essere autorizzati.
Gli operatori del settore delle rinnovabili sono pronti, in pochi mesi, a raddoppiare la produzione di energia pulita e indipendente per rendere l’Italia più sostenibile, più libera e più sicura.
Occorre però un immediato cambio di passo con un pacchetto di riforme che miri:
1. a rendere davvero efficace il burden sharing con la previsione dell’intervento dello Stato in via sostituiva nelle procedure autorizzative o con la nomina di commissari straordinari nelle Regioni inadempienti;
2. a rimuovere i poteri di veto tutt’ora esistenti
3. a prorogare automaticamente la durata delle autorizzazioni scadute.
Oltre a questo, per una riforma più incisiva e di lungo periodo, è necessario avviare un ripensamento del titolo V della Costituzione e considerare la restituzione al livello statale delle competenze esclusive in materia energetica, necessaria per riconoscere la giusta centralità all’interesse strategico del raggiungimento dell’autonomia e della sicurezza energetiche dell’Italia e dell’Europa, integrate nelle strategie geopolitiche.
Clicca qui per leggere la proposta completa.
Aggiungi signaturedi Giordano Masini
La scelta di far portare la Croce, durante la Via Crucis, a una donna russa e a una donna ucraina non è una scelta sbagliata, a condizione che le si attribuisca l’unico valore simbolico possibile, ovvero che oggi sia gli ucraini che i russi (e anche i bielorussi) sono vittime dello stesso regime assassino di Putin, e sia gli ucraini che i russi meritano la Resurrezione di domani, come meritano la Liberazione che celebreremo il 25 aprile.
Ci sono i russi che resistono, più o meno silenziosamente, più o meno coraggiosamente, che portano la Croce con più o meno comprensibile rassegnazione, e noi non dovremmo dimenticarli ma anzi essere con loro, contro Putin, come siamo con il popolo aggredito e massacrato dell’Ucraina.
Dovremmo essere con loro come eravamo coi dissidenti ai tempi dell’Unione Sovietica: se c’è una responsabilità grave che come Occidente dovremmo riconoscere a noi stessi (altro che allargamento della NATO) è quella di non averli mai sostenuti abbastanza nei decenni passati, di averli dimenticati, di non aver mai lavorato davvero per un regime change in Russia proprio mentre Putin finanziava i partiti e i candidati sovranisti in tutti i paesi occidentali, arrivando a essere determinante nella scelta del presidente degli Stati Uniti nel 2016, nella vittoria di una maggioranza filorussa in Italia nel 2018, nell’arrivo al ballottaggio di una sua sostenitrice in due elezioni presidenziali francesi consecutive, l’ultima delle quali si svolgerà proprio domenica prossima.
Lega e Forza Italia lamentano un presunto aumento di tasse nella riforma della delega fiscale.
Non sono bastate le parole di Draghi per rassicurare il centro destra di governo, tant’è che oggi Salvini e Tajani sono stati ricevuti dal premier a Palazzo Chigi.
Ma come stanno realmente le cose?
Cominciamo col dire che l’aumento di tasse è una fake news.
Lo scontro riguarda essenzialmente due questioni: progetto del sistema duale sulle aliquote e riforma del catasto.
Per quanto riguarda il sistema duale di aliquote, i redditi da lavoro verrebbero divisi da tutti quelli con tassazione proporzionale e verrebbero introdotte due aliquote progressive (che non crescono all’aumentare del reddito).
Il sistema verrebbe dunque semplificato, poiché oggi le aliquote sono molte di più e troppo diverse, stando ai ministri che hanno approvato il disegno di legge, tra cui anche dei leghisti.
Non sono specificate nella legge delega le percentuali a cui si attesterebbero queste due aliquote o a quali redditi verrebbero applicate.
La seconda questione invece riguarda il catasto: il compromesso del governo metterebbe su una sorta di “operazione trasparenza” per far emergere gli immobili sconosciuti al fisco e aggiornare le rendite catastali.
L’art 6 prevede che venga effettuata infatti una nuova rilevazione catastale per aggiornare le informazioni sugli immobili e sul loro reale valore, in molti casi ormai datate.
Si tratta di operazioni che non avrebbero un effetto automatico di aumento delle tasse: si legge infatti all’art 10 che “non deve derivare un incremento della pressione tributaria rispetto a quella derivata dall’applicazione della legislazione vigente”.
Nessun aumento di gettito quindi, almeno in media.
Non solo: questa operazione sarebbe anche in linea con le raccomandazione europee, che nel 2019 chiedevano all’Italia di “spostare la pressione fiscale dal lavoro riducendo le agevolazioni fiscali e riformando i valori catastali non aggiornati”.
Infine, la revisione del catasto sarebbe disponibile a decorrere dal 1 gennaio 2026, non con “la pandemia e guerra ucraina ancora in corso” come ha affermato Salvini.
Reportage da Budapest di Yuri Guaiana
Questo è uno dei poster elettorali, autorizzati dal governo, che si vedono qui a Budapest.
Dice semplicemente: “proteggiamo i nostri bambini” e invita a votare no al referendum anti-lgbti che si terrà oggi, 3 aprile, in concomitanza con le elezioni generali.
Leggidi Ilaria Donatio
di Matteo Di Maio
Istat e UNAR hanno presentato i risultati di una rilevazione sulle discriminazioni lavorative nei confronti delle persone LGBTI+ rivolta alle persone unite civilmente attualmente o in passato.
Emerge un quadro davvero preoccupante.
Quasi una persona LGBTI+ su due (46,9%) dichiara di aver subito almeno un evento di discriminazione a scuola/università. Il 68,2% delle persone intervistate ha dichiarato di aver evitato di tenere per mano in pubblico un partner dello stesso sesso per paura di essere aggredito, minacciato o molestato.
Il 40,3% riferisce, in relazione ai lavori attuali o passati, di aver evitato di parlare della vita privata per tenere nascosto il proprio orientamento sessuale e di aver evitato di frequentare persone dell’ambiente lavorativo nel tempo libero per non rischiare di rivelare il proprio orientamento sessuale. Circa 6 persone LGBTI+ su 10 hanno sperimentato almeno una micro-aggressione sul lavoro: la più diffusa è “aver sentito qualcuno definire una persona come fr*cio o usare in modo dispregiativo le espressioni "lesbica", "è da gay" o simili.
Orientamento sessuale e identità di genere non dovrebbero costituire una barriera all'ingresso nel mondo del lavoro né un ostacolo a vivere serenamente la propria vita professionale.
L'attenzione ai temi dell'inclusione, inoltre, conviene anche alle aziende: secondo il Diversity Brand Index del 2022 (pubblicato da Diversity Lab) le aziende che investono in diversità e inclusione crescono mediamente del 23% in più rispetto alle altre.
Come invertire la rotta? L'Italia dovrebbe dotarsi di una Strategia Nazionale LGBTI+, che manca dal 2015, con un'ampia sezione dedicata alle politiche lavorative. La politica, dal canto suo, dovrebbe adoperarsi per garantire finalmente alle persone LGBTI+ eguaglianza formale e sostanziale: matrimonio egualitario, riforma del diritto di famiglia, riforma della legge 164 del 1982 e molto altro.
La strada migliore per combattere le discriminazioni, anche in ambito lavorativo, è eliminare le discriminazioni attualmente presenti nelle leggi italiane, affinché chiunque possa vivere e lavorare in piena libertà.
Brillante, anticonformista, grande divulgatrice.
In memoria dell'astrofisica Margherita Hack, +Europa e Azione hanno presentato la proposta di realizzare un murale nel quartiere di Roiano, a Trieste, in cui la scienziata ha vissuto per molti anni. “Attraverso un murale saremo più coerenti nel ricordare la sua personalità brillante, vivace e anticonformista. La ricorderemo così in un linguaggio più vicino alle giovani generazioni, a cui dobbiamo provare a tramandare l’eredità e l’eccellenza dei nostri grandi concittadini”, spiega Alessio Briganti, coordinatore +Europa Trieste.
La proposta è già stata accolta all’unanimità dal Consiglio della Terza Circoscrizione, e l’opera dovrebbe essere inaugurata l’11 aprile del prossimo anno. Una data scelta non a caso; si tratta infatti della Giornata Internazionale delle Donne nella Scienza. L’obiettivo è quello di sensibilizzare al divario tra uomini e donne in questo campo strategico e promuovere il coinvolgimento di quest’ultime, soprattutto le giovani studiose, nel settore STEM. Una maggiore presenza femminile in questo campo non solo aiuterebbe a colmare finalmente il gender gap, ma promuoverebbe anche lo sviluppo di un settore fondamentale per la crescita e l'attrattività del nostro Paese.
È importante ricordare Margherita Hack, oltre per i numerosi contributi all’avanzamento della ricerca scientifica, anche per il suo attivismo e per le sue importanti prese di posizione, tra cui sensibilità verso gli animali, diritti LGBTQ+, pacifismo e libertà, che hanno influenzato ed ispirato generazioni intere di italiani. Attraverso quest’opera si spera di tramandare questi preziosi riferimenti anche alle generazioni future, continuando ad ispirarle ad uscire dagli schemi, lottare per quello in cui credono e guardare sempre le stelle.
Guarda il video della conferenza stampa
Leggi"Non sono una pacifista, sono una non violenta. Gli ucraini devono difendersi e farlo anche con il nostro aiuto"
Intervista di Emma Bonino ad Huffington post
di Pietro Salvatori
“E che gli dobbiamo mandare, dei cioccolatini?”. Emma Bonino è netta: l’invio delle armi all’Ucraina è la cosa giusta da fare in questo momento drammatico.
La leader di +Europa stigmatizza chi in queste ore sostiene in parte o in toto le ragioni del governo russo, parla di accerchiamento della Nato: “Le motivazioni di Putin semplicemente non stanno in piedi. Poi nei salotti dei talk fa comodo una cosa: dare contro a un avversario tutto sommato accettabile come la Nato è sostenibile, difendere Putin è difficile. È un escamotage”
D. Senatrice, partiamo dalle notizie delle ultime ore: sono diverse le strade tentate dalla diplomazia per sbloccare la situazione: dal viaggio di Bennet alle telefonate con Putin di Macron e Erdogan. Tentativi che al momento hanno sbattuto con la volontà del presidente russo di andare fino in fondo.
È vero, ma bisogna continuare con la diplomazia. Il fatto che tutti gli attori interessati e che hanno qualche chance si siano mobilitati è positivo, ed è anche una spia della gravità della situazione.
Ci sono altre strade da poter percorrere?
Vedo che tutte le strutture europee e quelle dell’Onu, al netto del Consiglio di sicurezza dove, vorrei ricordare ad alcuni colleghi italiani, la Russia ha potere di veto, si sono mobilitate. La Corte penale internazionale ha proposto e poi deciso l’apertura di un’indagine sui crimini in Ucraina, sostenuta da 39 paesi. Zelensky ha interpellato la Corte di giustizia dell’Aja. Al netto dell’invio di soldati sul campo, che scatenerebbe una guerra globale, il fatto che si tentino di percorrere tutte le strade alternative è segno che sia in moto una dinamica positiva, e dovremmo imparare qualche lezione.
Quali?
Per esempio noi italiani potremmo imparare che la dipendenza dal gas ci rende vulnerabili. Non a caso Di Maio è volato in Quatar e in Algeria per diversificare le fonti di approvvigionamento. Non bisogna scordare che la Russia incassa ancora 700 milioni al giorno vendendo il suo gas.
C’è chi chiede di interrompere gli acquisti, ma al momento né i paesi del G7, né gli Stati Uniti o l’Europa hanno deciso di intraprendere questa strada.
Non so se sia possibile tecnicamente, di certo avremmo un problema di opinione pubblica per eventuali interruzioni o per un ulteriore incremento dei costi. Fortunatamente per noi l’opinione pubblica ha ancora un peso, a differenza della Russia. Anche se Putin inizia ad avere i suoi guai: l’appello dei 350 scienziati, con nome e cognome, per fermare la guerra non si era mai visto. La strada resta comunque quella di aggravarne la posizione interna, erodergli il consenso a casa sua.
C’è però una parte di quella pubblica opinione che contesta tanto Putin quanto la Nato. A piazza San Giovanni, ieri, la richiesta che si levava era quella di non fornire più armi agli ucraini.
E che gli dobbiamo mandare, dei cioccolatini? Di certo se non sopravvivesse più nessuno non si sparerebbe più. Non sono una pacifista, sono una non violenta. Credo nella pressione diplomatica ed economica, credo nel mettere alle strette gli oligarchi. Ma gli ucraini devono difendersi, e farlo anche con il nostro aiuto.
Rimanendo in tema, ha un certo appeal la tesi che in tutto quel che stia succedendo la Russia abbia le sue giustificazioni, e che il vero responsabile sia la Nato.
C’è sempre stata in Italia una corrente minoritaria che accredita tutte le colpe a Usa e Nato. Che certamente avranno pure commesso degli errori. Noi stessi non ci siamo svegliati dopo la Georgia, pensando che tutto si sarebbe risolto e non diversificando le fonti energetiche del paese. La stessa baldanza di Putin, che sperava in una guerra lampo, è un effetto della blanda reazione occidentale sulla Georgia nel 2008 e sull’Ucraina nel 2014. Fu una reazione pallida e inesistente, ma comunque sia non mi aspettavo questo genere di attacco. Pensavo che avrebbe replicato la “tecnica Crimea”: riconoscimento dell’indipendenza del Donbass, referendum e annessione. Sarebbe stato problematico ma più gestibile. Ma con la guerra che Putin ha scatenato è difficile attribuire responsabilità della situazione ad altri che non a lui.
Ma questo accerchiamento c’è stato?
I paesi baltici, sono nella Nato da quasi vent’anni, nell’enclave russa di Kaliningrad ci sono missili balistici, e nessuno ha mai sollevato problemi. L’Ucraina con piazza Maidan aveva chiesto a gran voce di avvicinarsi all’Ue, non alla Nato, era una libera determinazione di un popolo
Non mi pare veda attenuanti per le decisioni di Putin, ma nemmeno per chi sostiene che sia colpa della Nato.
Le motivazioni di Putin semplicemente non stanno in piedi. Poi nei salotti dei talk fa comodo una cosa: dare contro a un avversario tutto sommato accettabile come la Nato è sostenibile, difendere Putin è difficile. È un escamotage.
Lei si aspettava che in pochi giorni il sistema autocratico russo potesse avere con questa facilità uno scivolamento verso caratteristiche di un sistema totalitario?
C’erano già tutti i segnali che ci avvertivano. Non li abbiamo voluti vedere. Tanti espatriati russi ci avevano avvertito, siamo rimasti sordi. La situazione era più grave di come la volevamo vedere, ma non vi abbiamo dato peso. E mi ci metto dentro anche io.
Nel suo intervento al Senato la settimana scorsa lei ha lanciato un monito: la grande unità vista in Parlamento potrebbe presto sfaldarsi.
E sono ancora convinta di questo. A Draghi ho detto che tra qualche tempo alcuni partiti cominceranno a dire aiutiamoli ma non così, aiutiamoli ma non colà. È tipico che sull’onda dell’emozione si dia il via, e poi si cominci a fare qualche conto. Bisogna dire ai cittadini che è una guerra alla quale noi, anche se indirettamente, stiamo partecipando, preparare l’opinione pubblica al fatto che questo avrà un costo, l’impatto non sarà zero.
Giuseppe Conte ha chiesto un piano europeo proprio affinché i costi non siano pagati dai cittadini.
E secondo lui chi deve pagare la guerra, l’angelo custode? Ho fatto un appello ai miei colleghi: le guerre le pagano sempre le persone. Questo bisogna dirlo per non ritrovarci impreparati, vedo che si va già nella direzione opposta.
Non possiamo nasconderci che partiti con un ampio consenso popolare, penso alla Lega o ai 5 stelle, abbiano avuto un recente passato, di grande ammirazione per Putin e di vicinanza alle istituzioni russe.
Ed è preoccupante che alcuni siano stati, non so se sono ancora, così vicini al governo russo. Salvini brillantemente diceva che si trovava meglio a Mosca che in Italia. Oggi parla di andare lui direttamente a fare la pace, una boutade che è meglio lasciar perdere. Io proprio di questo parlavo.
Vede il rischio di uno sfaldamento nel prossimo futuro del fronte unitario che sostiene l’Ucraina con sanzioni e armi?
Quando le sanzioni mordono l’opinione pubblica cambia cavallo. E alcuni sono sensibili solo a quello. Noi per esempio con la Russia non abbiamo grande export, più o meno 7 miliardi. Ma sono fondamentali per alcuni distretti. Quando ero ministro del Commercio, l’industria delle calzature, il distretto delle Marche, spediva l’80% produzione in Russia. Non so se è ancora così, ma è un buon esempio. Ecco, tutto questo lo devi gestire. Dire solo no Tav, no Tap, no rigassificatori ci hanno messo in questa posizione. Temo che si verifichi uno schema simile.
Come giudica invece l’approccio europeo sui profughi?
Per la prima volta il Consiglio ha deciso di applicare la direttiva 55 del 2001, un fatto di accoglienza straordinario. Resta di capire se la permanenza in territorio Ue si applichi solo agli ucraini o anche agli stranieri che vivevano. Questo è un problema, ma intanto il passo è stato straordinario.
"Sfida La Corrente": il podcast di Più Europa
Per un'Italia più libera e democratica.
Ascolta tutte le puntate (anche su Apple podcast).
La guerra delle donne: con Giulia Aubry, ufficiale della Riserva Selezionata dell'esercito nelle missioni di pace all'estero (puntata del 1 aprile 2022)
Il governo Draghi, la Nato e il cortocircuito del M5S: con Benedetto Della Vedova (puntata del 29 marzo 2022)
Possiamo vivere senza il gas russo?: con Michele Governatori (puntata del 24 marzo 2022)
Il racconto della guerra di una Ong italiana: con Maria Laura Conte, direttrice della comunicazione di Fondazione AVSI (puntata del 21 marzo 2022)
Non dimenticatevi di noi: con Shaharzad Akbar (puntata del 18 marzo 2022)
A Palermo la prima candidatura comune di +Europa e Azione: con Fabrizio Ferrandelli (puntata del 16 marzo 2022)
La propaganda di Putin ha fallito?: con Marco Taradash (puntata del 14 marzo 2022)
Dal fine vita allo ius scholae, la Camera recupera sui diritti civili: con Riccardo Magi (puntata dell'11 marzo 2022)
Ucraina, la guerra nel granaio d'Europa: con Giordano Masini (puntata del 10 marzo 2022)
Donne che resistono: dall’Afghanistan all’Ucraina: Ilaria Donatio intervista Tamara Savenko, cittadina ucraina che vive in Italia (puntata del 8 marzo 2022)
Referendum: C'eravamo tanto Amato: con Riccardo Magi (puntata del 6 marzo 2022)
La comunità Lgbti+ sotto le bombe di Putin: con Yuri Guaiana (puntata del 3 marzo 2022)
La crisi ucraina e il futuro dell'Unione europea: con Benedetto Della Vedova (puntata del 2 marzo 2022)
LeggiSabato 26 febbraio e domenica 27 febbraio, +Europa ha organizzato una mobilitazione nazionale che ha coinvolto oltre 22 città, per esprimere solidarietà al popolo ucraino contro l'invasione di Vladimir Putin.
Da Milano a Palermo, passando per Londra, Bruxelles e altre città europee, i gruppi di +E hanno fatto scendere in piazza migliaia di cittadini per ribadire che la sicurezza in Ucraina è la sicurezza in Europa.
A Napoli ci hanno raggiunto quasi duemila persone, mentre a Milano e a Roma si sono alternati iscritti e dirigenti nazionali del partito.
Rivedi la diretta con tutte le piazze
Emma Bonino, in collegamento da Roma, ha sottolineato che “le prime sanzioni, cui ne seguiranno altre, sembrano dure, ma non basta parlare di interessi geostrategici e geopolitici. Si deve parlare di libertà e diritti dei cittadini ucraini, perché il presidente Zelensky è stato eletto con oltre il 70 per cento dei voti. La comunità ucraina – ha osservato Bonino -, in Italia è composta da 236 mila persone, di cui l’80 per cento donne. Questi chiederanno, se regolarizzate, il ricongiungimento familiare. C’è quindi tutta una parte, si per dire ‘minore’, di diritti e libertà che, quando parliamo di solidarietà, dovrebbe essere presa in considerazione”.
Il segretario di +Europa e sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, ha detto che "La democrazia e le libertà in Ucraina sono la democrazia e le libertà in Europa. Sono 20 anni che ripetiamo che Putin, l'unico vero responsabile di questa aggressione, non può essere considerato un interlocutore affidabile. Lo testimoniano la repressione degli oppositori, le uccisioni dei giornalisti, l'ossessione che ha verso la comunità LGBTI... Le sanzioni, coordinate e devastanti, sono importanti per tutta la società che si è arricchita grazie alla sua vicinanza con Putin. Ed è molto importante che in Ue i leader usino le stesse parole e gli stessi argomenti, un passo importante verso un’ Europa integrata anche nella Politica estera e di difesa”.
Per Riccardo Magi, presidente di +Europa, “nella tragedia è una fortuna per l’Italia e per l’Europa che a guidare il governo italiano ci sia il presidente Draghi e non qualcuno che fino a poche settimane fa sosteneva che Putin difende i valori europei e l’identità cristiana. E bene ha fatto il nostro premier a sgomberare il campo da ogni ambiguità sull’adozione di sanzioni più rigide nei confronti della Russia. È proprio l’applicazione di misure severe sul piano economico che può favorire l'emersione di una crescente opposizione nell'opinione pubblica russa verso questa folle aggressione e verso lo stesso regime putiniano”.
Maria Saeli, tesoriera di +Europa: “Abbiamo sperato fino all'ultimo che la diplomazia ed il buon senso potessero prevalere. Invece, l'attacco militare di Putin ci ha riportati indietro nel tempo. Siamo accanto al l'Ucraina ed al suo popolo, perché dietro a questo attacco intollerabile non c'è solo un popolo, ma il concetto stesso di democrazia e libertà, che dobbiamo tutelare e proteggere, come Italia e come Europa”.
Per Giordano Masini, coordinatore della segreteria di +Europa, “La pandemia è stata l’occasione per costruire una nuova solidarietà economica europea. Allo stesso modo dobbiamo fare in modo che questa crisi sia l’occasione per costruire una politica estera e di difesa comune europea. È proprio quello che Putin non vuole, un’Europa più unita e più forte, ed è quel che avrà”.
Valerio Federico, della segreteria di +Europa, ha aggiunto: "Nelle 22 città dove si è mobilitata +Europa insieme agli ucraini d'Italia in questo fine settimana, è emerso un chiaro NO alla aggressione violenta e illegale della Ucraina ad opera della Russia di Putin. Non c’è pace senza giustizia e libertà. +Europa dice SI a Zelensky e alle sue richieste, che sono quelle del popolo ucraino: armi e medicinali alla resistenza, accoglienza ai profughi, sovranità e autodeterminazione della democrazia di Kiev, verso l’adesione a UE e alla scelta occidentale, sanzioni dure per stritolare l'economia dell'invasore. L’Unione europea sta rispondendo al disperato appello della democrazia ucraina. Con le sanzioni potremmo certo pagare un costo, ma sarebbe un costo immensamente inferiore a quello che pagheremmo per la perdita della libertà degli ucraini e della seria minaccia alla nostra democrazia e alla nostra libertà.
La violazione del diritto internazionale, della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Ucraina da parte di Putin in queste ore, è conferma di un conflitto in corso da anni tra autoritarismo e democrazia, che vede la Russia come avanguardia della reazione violenta all’affermarsi in Europa di unioni e relazioni tra popoli fondate sulla liberaldemocrazia e sullo Stato di Diritto.
La sicurezza dell'Ucraina è la sicurezza dell'intera Europa.
Le sanzioni e la risposta del mondo libero e democratico dovranno essere proporzionali alla gravità delle azioni di Putin.
Invitiamo a partecipare tutti i democratici, convinti che oggi siamo tutti chiamati a una scelta netta e chiara senza distinguo
Le piazze:
Venerdì 25 febbraio
Firenze H.15 – Presidio. Piazza dei Ciompi
Sabato 26 febbraio
Palermo H.11 Piazza Pretoria
Bruxelles – H.14.30 Partecipazione alla manifestazione di Promote Ukraine, davanti alla Missione permanente della Russia presso l'UE, blv du Regent 31
Cagliari – H.16.30 Presidio e incontro con il Console onorario a Cagliari d’Ucraina Anthony Grande, Piazza Darsena
Genova – H.17 Presidio. Piazza De Ferrari
Reggio Emilia – H.17 Partecipazione a presidio “Reggio Emilia per la pace in Ucraina”, Piazza Prampolini
Benevento -H.18 Flash mob. Arco di Traiano
Domenica 27 febbraio
Roma - H.11 Flash mob. Largo di Torre Argentina con Emma Bonino, Benedetto Della Vedova e Riccardo Magi.
Milano – H.11 Presidio. Piazza dei Mercanti
Siena – H.10-12 Presidio. Piazza Duomo
Vicenza - H.10 Sit in. Piazza delle Erbe
Napoli – H.11 Sit in. Piazza Dante
Londra – H.11 UK (H.12 di Roma). Presidio. Ambasciata d’Ucraina, 60 Holland Park
Verona – H.11 Presidio. Piazza Bra davanti al Municipio
Avellino – H.11 Presidio. Piazza Libertà di fronte al monumento "Le ali della libertà"
Lucca – H.11 Sit in. Piazza Napoleone
Parma – H.11 Presidio. Piazzale della pace
Pisa – H.11 Ritrovo sotto al Palazzo comunale, Via degli Uffizi 1
Trieste - H.11 Presidio. Largo Don Bonifacio
Ferrara – H.11-12 Presidio. Piazza Castello
Treviso – H.15 Sit in. Consolato onorario d’Ucraina, Via Martiri della libertà 35
Padova - H.15 Partecipazione a presidio in accoglimento dell’invito all’iniziativa del Console onorario "Speranza Ucraina"- Piazza Antenore
Salerno - H.16 Partecipazione a presidio. Piazza Cavour
Dopo la risposta della Corte ci sono arrivate un sacco di domande sul quesito referendario e proveremo a rispondere a tutte.
Il quesito referendario toccava tre punti del Testo Unico sugli stupefacenti: l’articolo 73 comma 1 (che rimuoveva la parola “coltiva”), l’articolo 73 comma 4 (che rimuoveva le pene detentive da 2 a 6 anni, oggi previste per le condotte legate alla cannabis) e l’articolo 75 comma 1 (che rimuoveva la sanzione amministrativa del ritiro della patente).
Le argomentazioni della Corte hanno riguardato solo il primo punto.
Il Presidente della Corte Giuliano Amato ha sottolineato come il comma 1 dell’articolo 73 faccia riferimento alle tabelle 1 e 3 delle sostanze stupefacenti, che non includono la cannabis, che si trova nella tabella 2. Facendo intendere che questo sia avvenuto per un errore materiale.
COSÌ NON È!
Infatti il comma 4 (in cui è presente la cannabis) richiama testualmente le condotte del comma 1, tra le quali è compresa proprio quella della coltivazione.
Appare evidente che i due commi vanno interpretati insieme.
In altre parole abbiamo dovuto fare riferimento al comma 1 perché non si poteva fare altrimenti per decriminalizzare la coltivazione di cannabis, dal momento che i due commi sono legati.
In ogni caso, questa modifica non avrebbe comportato automaticamente la libera produzione di ogni tipo di sostanza.
La parola “coltiva” fa riferimento alle piante: l’unica pianta che è possibile consumare come stupefacente è la cannabis.
Si possono coltivare - certo con grandi difficoltà e in determinate regioni del mondo - papavero e coca ma per consumarle come stupefacenti occorre trasformarle: la “produzione, fabbricazione, estrazione, raffinazione” sarebbero rimaste punite nel comma 1 del 73.
Questo non avrebbe comportato alcuna violazione degli obblighi internazionali.
La scelta di eliminare il solo termine «coltiva» dimostra la nostra intenzione di decriminalizzare soltanto la coltivazione della cannabis, lasciando punite le successive fasi necessarie per consumare le altre sostanze come oppio e coca.
Sfortunatamente la pronuncia della Corte è inappellabile ma questo quesito era l'unico modo immaginabile per provare a cambiare le leggi che vietano la coltivazione della cannabis.
La bocciatura di un quesito sottoscritto da oltre mezzo milione di cittadini è prima di tutto un fallimento per le istituzioni che non riescono a rispondere al Paese.
La nostra battaglia non si fermerà certo oggi.
Per approfondire
Simona Viola: "La scelta pretestuosa della Consulta di aggrapparsi alla forma per bocciare i quesiti"
di Simona Viola
La Corte disponeva di tutti gli argomenti utili per ammettere il referendum sul “fine vita”.
La norma del Codice Rocco sull’omicidio del consenziente, amputata dal quesito referendario, non avrebbe lasciato alcun vuoto di tutela per le persone deboli e vulnerabili. Infatti, il quesito prevedeva espressamente l’invalidità del consenso prestato dalle categorie più fragili, cioè: - 1) minorenni; 2) infermi di mente; 3) persone che si trovassero in condizioni di deficienza psichica, anche lieve e/o transitoria, dovuta a qualunque fattore intrinseco o estrinseco, o all’assunzione di alcol o droghe; 4) persone il cui consenso fosse stato estorto con violenza, minaccia o suggestione.
Anche fuori da questi casi, il consenso, per essere lecitamente esperibile, avrebbe dovuto essere personale, serio, esplicito, non equivoco e perdurante, nelle forme oggi previste dalla legge n. 219/2017 in materia di disposizioni anticipate di trattamento e terapia del dolore. Si tratta di regole già scolpite dal diritto vivente, a proposito del delitto di omicidio del consenziente oggi vigente: regole che, unitamente all’attuale normativa in materia di rifiuto dell’accanimento terapeutico e di liceità dell’aiuto al suicidio, avrebbero escluso ogni rischio in ordine alla normativa di risulta per i soggetti più fragili.
Peraltro, la Corte costituzionale avrebbe potuto comunque intervenire a posteriori sulla normativa di risulta, nel caso si fossero presentate delle criticità, delle quali però non si vedevano concretamente le possibilità: in tal modo si sarebbe potuto comunque dare la possibilità al popolo di votare su un argomento che, al di là dei formalismi, è noto e dibattuto nell’opinione pubblica da tempo, grazie alle battaglie giudiziarie di DJ Fabo, Welby e tanti altri coraggiosi amanti della libertà come loro.
Riviviamo perciò oggi la delusione cocente di tante altre sentenze che hanno mortificato i diritti civili e speravamo che questa Corte costituzionale avrebbe aperto una nuova stagione di riforme, con al centro i diritti e le libertà individuali, anche grazie al fatto che oltre un milione e mezzo di italiani avevano firmato per il referendum sul fine vita.
Occorreva e occorre più rispetto e considerazione per la volontà popolare e per gli istituti costituzionali di democrazia diretta.
I cittadini non devono pensare che la loro firma e che il loro gesto di partecipazione politica, è inutile e si scontra contro incomprensibili formalismi.
La sentenza della Corte indebolisce e frustra la politica e la partecipazione.
Ringraziamo i nostri avvocati Alfonso Celotto e Guido Camera che hanno rappresentato +Europa nel collegio difensivo del quesito sul fine vita presso la Corte Costituzionale.
Rivedi l'intervista dell'Avvocato Celotto a Radio Radicale
di Anna Lisa Nalin e Manuela Zambrano
Milano, Torino, passando per Venezia, Palermo, Verona, ancora Cremona, Brescia e tante altre città italiane mostrano primati di pessima qualità dell’aria. A dimostrarlo il report sull’inquinamento pubblicato da Legambiente che dà un’impietosa fotografia sintetizzata nel titolo “Mal’aria di città”.
Anche il Paese Italia porta con sé lo spregevole marchio di essere tra i più inquinati d’Europa, a partire dall’area della Pianura Padana.
Si deve intervenire sul settore della mobilità e dei trasporti, cruciale per il raggiungimento degli obiettivi Parigi e della neutralità climatica. È il settore che non solo ha aumentato le emissioni rispetto al 1990, ma non riesce ad invertire la curva.
Più del 70% di C02 viene emesso per distanze inferiori ai 50 km. Quindi, ogni strategia per migliorare la qualità dell’aria non può che passare per gli agglomerati urbani.
Ancora qualche dato: le stime dell’AEA (Agenzia Europea dell’Ambiente) nel più recente report indicano che in Italia nel 2019 sono state poco meno di 64.000 le morti premature per esposizione a bassa qualità aria. Un numero drammatico se si considera che nell’UE a 27 Paesi sono state 307.000 le persone decedute prematuramente. Ben il 58% di questi decessi si sarebbe potuto evitare.
È arrivata l’ora di decongestionare le città svuotandole progressivamente ma rapidamente dalle fonti inquinanti evitabili.
Innanzitutto, lo spazio pubblico urbano deve essere ridisegnato a misura d’uomo con sempre più quartieri car free, con reti di corsie ciclabili e mobilità condivise innovative.
L’elettrificazione rientra certamente tra i passi più impattanti per eliminare le maggiori cause di inquinamento dell’aria come le emissioni delle auto e dei veicoli di pubblico trasporto, oltre alle emissioni generate dal riscaldamento degli edifici (riconversione supportata da misure come bonus 110 e per la dismissione delle caldaie più inquinanti).
La linea dell’Unione Europea recepita in Italia lo scorso dicembre dal CITE (Comitato Interministeriale per la Transizione Ecologica) prevede lo stop di vendite e produzione delle auto a motore endotermico dal 2035 (benzine, diesel, ibride). Questo processo deve essere accelerato ed incentivato senza ulteriori perdite di tempo ed inutili, controproducenti e costosissimi sussidi alla mobilità alimentata dal “fossile”.
Tra le risposte più immediate: auto e veicoli elettrici e l’elettrificazione dei mezzi per il trasporto pubblico alimentati quindi da energie pulite e rinnovabili. Un passo non più prorogabile nonostante i rincari di gas ed energia elettrica che stanno colpendo in modo pesantissimo il nostro Paese. Su questo fronte servono massicci interventi del governo per aiutare imprese e consumatori, ma non un cambio di strategia sullo sviluppo sostenibile che rappresenta una parte fondamentale del PNRR e dei relativi finanziamenti allocati dalla UE.
A chi sostiene l’eccessivo costo delle macchine elettriche si può obiettare che la trasformazione industriale è ormai così avanzata che Bloomberg prevede la “cost parity” tra le auto elettriche e quelle a motore endotermico per tutti i segmenti già tra il 2025 e il 2027. In questo orizzonte temporale i cittadini potranno avere anche il vantaggio del prezzo d’acquisto iniziale, oltre a quello già esistente di una migliore prestazione dei motori elettrici e di una partecipazione green con beneficio per l’intera comunità.
Ogni trasformazione industriale è sempre stata originata dall’alto di gamma, per passare ai segmenti medi (già attualmente in corso) ed arrivare a quelli di massa. I dati sugli incrementi delle vendite della auto elettriche e sulle previsioni per i prossimi anni indicano un trend mondiale non più arrestabile.
Un’altra sfida è la sharing mobility, mobilità elettrica condivisa (micro auto, van, bici…) non solo per i centri cittadini ma anche per le periferie ed i centri minori attraverso una rete da integrare nei sistemi urbani di mobilità sostenibile.
Le nuove tecnologie rendono possibile la condivisione di veicoli sia per il trasporto individuale che l’ottimizzazione di quelli collettivi. Il modello di auto privata di massa è sempre meno sensato basti pensare al valore della congestione: il tempo individuale perso nel traffico “costa carissimo”; il valore dello spazio: con meno spazio occupato delle auto private in sosta e in lento movimento nelle città c’è un enorme potenziale da restituire ad altri usi.
A fronte di questo nuovo contesto di trasformazione industriale e sociale che è epocale, diviene sempre più importante coinvolgere i cittadini e chiedere al governo che vengano riconosciuti incentivi/ benefit tangibili proprio per la scelta di mezzi elettrici o di mobilità condivisa.
Altri Paesi in Europa, come Germania e Francia ma non solo questi, stanno implementando modelli fiscali e sociali incentivanti in modo da non far gravare il prezzo della transizione ecologica sui consumatori, cittadini ma anche aziende che contribuiscono alle politiche green, riconoscendo loro per questo impegno dei vantaggi tangibili.
Per concludere Mario Draghi lo scorso ottobre alla PRE-COOP dichiarava: “La transizione
ecologica non è una scelta, è una necessità… Abbiamo solo due possibilità. O affrontiamo
adesso i costi della transizione o agiamo dopo pagando un prezzo molto più alto di un
disastro climatico”
A gruppo Tv7 un confronto tv la nostra Desideria Mini e Mario Adinolfi del Popolo della Famiglia sulla fecondazione assistita.
Gli argomenti principalmente trattati sono stati: legge 40/2004, fecondazione eterologa, diagnosi genetica preimpianto, donazione mitocondriale, ricerca scientifica sugli embrioni e accesso delle coppie omosessuali alla procreazione medicalmente assistita e alle adozioni.
di Davide Sguazzardo
Il DDL costituzionale approvato in via definitiva alla Camera e proposto da PD-M5S-Leu porta in Costituzione la tutela dell’ambiente e della biodiversità. Un fatto positivo, ma pensiamo che si sarebbe potuto fare di più e di meglio: gli emendamenti per includere Sviluppo Sostenibile ed Equità Generazionale presentati da Più Europa e Azione sono stati infatti respinti.
La campagna promossa da +Europa “Figli Costituenti” aveva tre obiettivi: ambiente, sviluppo sostenibile ed equità generazionale. In Commissione Affari Costituzionali, in occasione della discussione di alcune modifiche costituzionali in materia di tutela dell’ambiente, è stato respinto l’emendamento con cui Più Europa e Azione hanno tentato di portare il progetto di riforma costituzionale sulle linee guida proposte da +Europa con Figli Costituenti, quello per cui abbiamo raccolto tante firme nelle piazze di tutt’Italia.
Peccato che si perda l’opportunità di inserire in Costituzione i principi di equità tra generazioni e sostenibilità dello sviluppo. La proposta rappresentava un importante passo in avanti per rendere l’Italia un Paese più attento e sensibile alla tutela dei diritti delle future generazioni, dell’ambiente e delle biodiversità, affermando un nuovo e più completo concetto di sostenibilità.
Non sarebbe stato soltanto un ritocco simbolico della nostra carta costituzionale. Una riforma del genere avrebbe avuto l’effetto concreto di ostacolare le manovre finanziarie miopi, l’indebitamento irresponsabile, le “clausole” che spesso finiscono per scaricare nuove tasse sugli anni a venire, i tagli all’istruzione, gli appalti privi di adeguati criteri ambientali, e qualsiasi altro tentativo di ipotecare il futuro delle prossime generazioni per garantire il benessere di quelle attuali.
Il cambiamento climatico è soltanto l’esempio più evidente delle conseguenze delle scelte politiche non sostenibili; quello che noi proponevamo era qualcosa di più: era la solidarietà politica, economica e sociale nei confronti delle generazioni future, e la promozione delle condizioni per uno sviluppo sostenibile, concetto molto più ampio della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi.
Abbiamo perso l’occasione di includere nella Costituzione la tutela delle future generazioni e il vincolo a uno sviluppo sostenibile, nella sua accezione più completa, contenuta nella proposta depositata al Senato da Emma Bonino. Proposta per la quale personalmente ho raccolto firme nei maggiori comuni del vicentino, sostenuta da molti Consigli comunali e dal Consiglio regionale veneto e lombardo.
Ero fiducioso quando ho sentito il Presidente Draghi, nel suo primo discorso alle Camere, esprimere concetti coerenti con la nostra proposta. Fiducioso che fosse il momento buono per una riforma costituzionale che ci difenda da spesa e debito fuori controllo, leggi di bilancio senza idee, senza forza, senza un piano per il futuro.
Ciao Figli Costituenti, sarà per la prossima volta.