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L’accordo commerciale con Singapore. Un altro colpo messo a segno dall’Ue

di Marco Marazzi

Se abbiamo definito l'entrata in vigore dell'accordo con il Giappone quasi un "miracolo", quello con Singapore ci riporta ad una realtà di una Unione europea che purtroppo non ha ancora assunto completa sovranità su negoziati bilaterali con altri paesi in materia commerciale e di investimenti.  Ovviamente, qualche euroscettico potrebbe dire "per fortuna".  Ma l'accordo con Singapore, se non fosse bastato l'esempio del CETA, dovrebbe portarci a dire "purtroppo”.

Prima però, le buone notizie. Anzitutto, perché Singapore?  Perché la città-stato è al centro di una delle aree più dinamiche ed in forte crescita al mondo, e perché è parte dell'ASEAN, organizzazione che raccoglie i paesi del Sud-Est Asiatico con i quali la UE ha crescenti rapporti bilaterali, ma che evidentemente consente a singoli paesi membri di fare accordi commerciali con paesi terzi invece di puntare sulla forza negoziale del blocco.

La UE in realtà aveva cercato fin dal 2007 di concludere un accordo con l'intera ASEAN, ma a causa di differenze di vedute ha dovuto ripiegare su un negoziato solo con Singapore.

Viene poi da chiedersi perché ora, visto che i negoziati sono cominciati quasi 10 anni fa? Come per il Giappone, i timori di isolamento pesano su Singapore: con il disimpegno americano in Asia, la guerra commerciale tra Cina e USA e le Nuove vie della Seta che hanno come obiettivo non dichiarato ma palese quello di aggirare lo stretto di Malacca e creare nuove rotte di comunicazione tra Cina ed Europa,  Singapore corre un rischio non controbilanciato evidentemente dal suo ruolo centrale nell'ASEAN. E quindi guarda con interesse all'Europa.

D'altra parte, il commercio bilaterale tra UE e Singapore supera già i 52 miliardi di Euro (di questi 2,1 miliardi sono export italiano soprattutto da parte di PMI), mentre gli scambi di servizi si avvicinano ai 50 miliardi.  Ci sono più di 10,000 società europee a Singapore che spesso funzionano da hub per l'intera regione. Singapore ha anche accolto più investimenti diretti europei di ogni altro paese dell'area: quasi 170 miliardi. E' ovvio che come mercato di sbocco per i prodotti, la città-stato di poco meno di 6 milioni di persone non offre le stesse prospettive del Giappone né tantomeno quelle potenziali della Cina o dell'India, ma come destinazione di servizi e di investimenti ha un'importanza fondamentale e crescente.

Ed ecco perché gli accordi con Singapore sono tre.

Il primo è un accordo di libero scambio di "nuova generazione", ovvero un accordo che oltre a tagliare i dazi e barriere non tariffarie include anche altri capitoli come la protezione della proprietà intellettuale, gli appalti pubblici, la liberalizzazione degli investimenti e lo sviluppo sostenibile. Abbastanza simile pertanto a quello con il Giappone. Questi accordi di nuova generazione grazie ad una sentenza della Corte del Lussemburgo (investita proprio della questione relativa all'accordo con Singapore) hanno bisogno solo dell'approvazione del Consiglio UE e del Parlamento.

Quest'ultimo lo ha approvato il 13 febbraio scorso, aprendo quindi la porta all'entrata in vigore a breve.

Oltre a prevedere l'azzeramento dei dazi per la quasi totalità dei prodotti europei e singaporiani con il solito sistema di "phase in", il FTA si preoccupa anche di disciplinare in maniera precisa le norme di origine, lasciando comunque la flessibilità necessaria nel mondo di oggi in cui le catene del valore sono interconnesse.  Passo essenziale soprattutto per l'Europa: in un'economia di intermediazione o al massimo trasformazione come quella singaporiana è importante evitare che prodotti per esempio interamente indonesiani o malesi abusino dell'accordo di libero scambio per "travestirsi" come singaporiani.

Il capitolo dei servizi poi è a dir poco entusiasmante per le aziende europee che si trovano aperti una serie di settori, da quello finanziario alle telecomunicazioni, ai trasporti, alla protezione dell'ambiente, e addirittura servizi postali e che saranno più libere di operare nella città-stato. Il riconoscimento reciproco di alcuni titoli professionali è anche importante per i nostri professionisti che vogliono avventurarsi nella città-stato.

Dall'altro lato invece le aziende singaporiane si trovano ancora soggette ad una lunga serie di "eccezioni" che variano da paese membro a paese membro per la fornitura sia di servizi transfrontalieri che la costituzione di società di servizi nella UE.  Leggere le eccezioni è deprimente in quanto ci ricorda che a ormai quasi 26 anni dalla creazione del mercato unico europeo, la regolamentazione di servizi come quelli legali e contabili, i servizi immobiliari o turistici, etc. resta ancora diversa a seconda del paese membro UE. Immaginiamo quanto sia stato frustrante per i negoziatori singaporiani.

Il secondo accordo invece ha carattere più generale di "partnership e cooperazione" che tocca vari temi, ma che è forse meno interessante per le aziende.

Infine c'è un accordo bilaterale per la protezione degli investimenti ("EUSIPA") che sostituisce i 12 accordi attuali tra Singapore e alcuni paesi UE, ma va anche oltre creando un nuovo sistema per la risoluzione delle controversie, chiarendo cosa si intende per esempio per "trattamento equo e giusto" richiesto nei confronti dell'investitore straniero e prevedendo misure contro l'espropriazione diretta ed indiretta. Tutti principi essenziali per chi rischia il proprio capitale in un altro paese.

Al contrario dell'accordo di libero scambio, l'EUSIPA sarà sottoposto alla ratifica dei governi nazionali, oltre che all'approvazione del Consiglio e del Parlamento Europeo (già ottenute), in quanto si ritiene non di esclusiva competenza UE.

E questo è il "purtroppo" di cui parlavamo all'inizio, perché si rischia che qualche parlamento sovranista, per colpire comunque la UE blocchi un accordo che invece serve magari proprio a chi, sulla scorta dei benefici derivanti dall'accordo di libero scambio che entrerà in vigore a breve, decide di investire a Singapore (o in Italia).  Speriamo ovviamente che questa fosca previsione non si avvererà, ma ci sono purtroppo tutte le premesse.

Nel frattempo, non ci resta altro che attendere con ansia i famosi "dim sum" singaporiani, ovviamente parte dell'accordo, freschi all'arrivo in Italia e pronti per essere consumati, mentre gli amici di Singapore se vogliono consumeranno prosciutto di Parma autentico, di cui hanno riconosciuto l'indicazione geografica.

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