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  • Reddito di cittadinanza, il più grande spreco di soldi pubblici dopo le baby-pensioni

    di Piercamillo Falasca

    Il M5S ha trasformato l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro in un carrozzone inefficiente e inutile. Il portale dell’Anpal non funziona (nonostante il super esperto italo-americano Mimmo Parisi annunciato da Luigi Di Maio come mago del settore), i famosi navigator non sono operativi, i centri per l’impiego continuano a essere sottoutilizzati, le truffe di percettori abusivi di RdC abbondano.
    Su 700mila precettori di reddito di cittadinanza occupabili, appena 100mila hanno presentato il proprio CV per l’assunzione. Ancora più grave, sono meno di 9mila i posti di lavoro messi a disposizione dal sistema dei centri per l’impiego, con una totale assenza di collegamento e di informazioni tra domanda e offerta di lavoro (Fonte: Il Sole24Ore). Stiamo parlando insomma del più grande spreco di risorse pubbliche dai tempi delle baby-pensioni. E c’è ancora chi ha il coraggio di dire che il reddito di cittadinanza non si tocca? Nella prossima legge di bilancio presenteremo un emendamento per sostituire il RdC grillino con uno strumento adeguato al contrasto della povertà, un potenziamento del vecchio reddito di inclusione, destinando i miliardi risparmiati alla riduzione delle tasse sul lavoro. Vedremo chi voterà No e con quale motivazione”

  • Brexit, è tornato il tempo di decidere con un nuovo referendum

    di Dino Guido Rinoldi e Riccardo Sallustio

    La discussione di questi giorni nel Regno Unito sulla Brexit è innanzitutto una battaglia sul terreno delle procedure parlamentari e delle regole costituzionali di non facile comprensione agli occhi di un osservatore estero.

    Cerchiamo di fare chiarezza. Anzitutto, contro quanto la logica detterebbe il Parlamento britannico, a differenza di quanto fatto dal Parlamento europeo nella UE, negli ultimi tre anni e mezzo non ha dato istruzioni al governo sulle modalità e i termini della Brexit. Prima May e adesso Johnson sono ritornati a Londra con una bozza di accordo senza che né l’aula né le commissioni parlamentari avessero in qualche modo condiviso in precedenza i principi di tali accordi, la strategia negoziale o la complessa normativa di attuazione.

    Il contesto è poi alquanto peculiare; infatti tale discussione avviene nel mentre il Parlamento di Westminster si appresta a votare sul programma del governo Johnson (il cd. Queen’s Speech) presentato dalla Sovrana il 14 ottobre e che quasi certamente il Premier perderà pur non conseguendone tecnicamente la sfiducia del governo da lui presieduto. Peraltro, è singolare che Johnson non abbia mai ricevuto la fiducia della Camera dei Comuni e rappresenti un governo di minoranza che è stato sconfitto nella quasi totalità delle votazioni parlamentari.

    Le modalità dei prossimi passaggi parlamentari dipendono dalla recente sentenza della Corte Suprema nel caso Cherry/Miller 2 che ha talaltro sancito la necessità dello scrutinio parlamentare della legislazione sulla Brexit, dal Letwin amendment (dal nome del deputato che lo ha proposto) approvato dalla Camera dei Comuni il 19 ottobre, dalla successiva decisione di John Bercow - Speaker della Camera - di non consentire un nuovo voto sull’approvazione in via di principio dell’accordo di recesso, e dal rigetto della programme motion governativa del 22 ottobre diretta a ridurre i tempi del dibattito.

    La conseguenza di tali eventi è che il Parlamento, prima di votare per la proposta di accordo di recesso raggiunta fra Johnson e UE, dovrà necessariamente promulgare, con tutti i tempi necessari e dopo aver apposto eventuali emendamenti, la proposta di legge governativa per dare attuazione formale e pratica alla Brexit (Withdrawal Bill), proposta che è stata presentata in Parlamento solo martedì 21 ottobre.

    Successivamente, il Parlamento britannico dovrà ratificare l’accordo di recesso prima che la Brexit possa entrare in vigore. Solo dopo tale formale ratifica l’Unione europea avrà la necessaria certezza che l’accordo di recesso sia vincolante ed efficace.

    Il 22 ottobre la Camera dei Comuni ha approvato il Withdrawal Bill al cd. second reading; ma tale approvazione ha solo una valenza politica che peraltro Johnson ha raggiunto solo grazie ad un serie di promesse non vincolanti fatte ai parlamentari laburisti su diritti dei lavoratori e protezione dell’ambiente. Siamo, in altre parole, ben lontani dal momento in cui l’accordo possa essere approvato nella sua interezza e ratificato, ratifica della quale non si può perciò avere certezza.

    Né i tempi saranno serrati come originariamente richiesto dal governo Johnson: anche se il Parlamento dovesse lavorare alacremente nell’analisi del Withdrawal Bill, documento di centinaia di pagine e non facilmente comprensibile, il dibattito parlamentare sugli emendamenti nel cd. ‘committee stage’ e nel cd. ‘third reading’ porterà il processo probabilmente fino novembre inoltrato.

    La discussione parlamentare sui dettagli dell’accordo di recesso e del Withdrawal Bill sarà utilizzata dall’opposizione come occasione per dimostrare al paese le lacune dell’accordo stesso (si veda ad esempio la necessità di introdurre legislazione doganale per consentire le esportazioni tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord) e per imporre l’adesione ad una unione doganale con l’Unione europea oppure l’approvazione dell’accordo con un nuovo referendum popolare. Il governo ha invece interesse a ridurre il dibattito e così mantenere la promessa di assicurare la Brexit in tempi brevissimi.

    Nel frattempo, non sono da escludersi iniziative giudiziarie da parte di ‘remainers’ o ‘leavers’ tendenti a ritardare o ad accelerare il processo di uscita. Insomma, il momento della verità è ancora da venire.

    Sarà allora necessario concedere una proroga al Regno Unito quanto al termine di uscita (e ciò a prescindere sia dal gioco divertente di lettere inviate a Bruxelles da parte britannica sia dalle successive fasi intermedie che via via condurranno infine al recesso definitivo). E sarà un termine che il Consiglio europeo (rappresentativo dei Capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Unione) dovrà determinare in modo da rispettare la volontà del parlamento britannico e non del Primo Ministro Johnson. Il termine potrebbe anche essere quella fine di gennaio 2020 inizialmente prospettata dal Parlamento britannico nel Benn Act e non necessariamente la fine del 2020, come da altre parti preventivato. In ogni modo l’Unione non dovrebbe irrigidirsi in materia di termini (in primis è l’UE che “serve” al Regno Unito ma anche il Regno Unito “serve” all’UE), a patto di attenersi ai principi dello Stato di diritto (art. 2 del Trattato dell’Unione) e di lasciare il tempo necessario affinché la democrazia nel Regno stesso faccia il proprio corso. Si è parlato di “flexension”, ovvero di una proroga flessibile con un termine ultimo anche a metà 2020 ma riducendola laddove l’accordo di recesso fosse ratificato dal Regno Unito prima della scadenza di tale termine: si vedrà in dettaglio se questa è la strada che il Consiglio europeo intenderà intraprendere e quale sarà la risposta del Parlamento britannico.

    Sennonché vanno fatti i conti con la posizione della Francia, che ha mostrato una opposizione a qualsivoglia proroga; con la necessità che andando oltre il 31 ottobre di quest’anno dovrà essere nominato pure il Commissario europeo di spettanza al Regno Unito; nonché con la presenza britannica nei processi legislativi dell’UE, con la conseguenza di poterne subire un impatto negativo su scelte politiche europee fondamentali come l’approvazione del prossimo bilancio pluriennale (2021-2027), sebbene il governo britannico non sia più presente dalla scorso settembre alle riunioni del Consiglio europeo o non participi di fatto alla formazione della politica comunitaria.

    Ciò che sarebbe auspicabile nell’attuale contesto è l’indizione di un nuovo referendum, che chiami il corpo elettorale a pronunciarsi (sempre in via consultiva, come già avvenuto nel 2016 col primo referendum su “leave” o “remain”) sull’accordo di recesso concluso da Boris Johnson supportato dalla versione definitiva del Withdrawal Bill approvata dal parlamento o sulla permanenza del Regno Unito nell’UE. A differenza del referendum del 2016 questa consultazione non avrebbe ad oggetto una domanda dal contenuto vago, ma offrirebbe quegli elementi di certezza in grado di dare un chiaro indirizzo politico.

    E cosa proporre in questa selva intricata di contrapposizioni fra governo britannico, parlamento e popolo del Regno, quest’ultimo a propria volta diviso in schiere contrapposte?  Diviso perché vede le giovani generazioni assai favorevoli a un orizzonte aperto di permanenza nell’UE e quelle anziane legate a miti di identità e orgoglio isolani. Diviso perché le città (Londra per prima) sono per i vantaggi derivanti dalla cooperazione multilaterale europea mentre le campagne sono prevalentemente per la rivalsa nei confronti di una percepita globalizzazione dannosa e spersonalizzante. Diviso perché le conseguenze geopolitiche derivanti dall’uscita stanno diventando sempre più chiare, e la vicinanza delle posizioni politiche del governo Johnson all’amministrazione Trump costituisce un deterrente per molti che hanno votato per la Brexit nel 2016. Diviso perché vi sono “remainers” che voterebbero “leave” solo per rispettare la volontà popolare del 2016.

    Una rinnovata scelta referendaria consentirebbe una risposta popolare alla luce di quanto in quasi tre anni e mezzo evidenziato rispetto alla campagna manipolatoria del “leave” (fondata ad es. su notizie false come il recupero da parte del Regno in caso di Brexit di una montagna di sterline a vantaggio della sanità britannica), oppure riguardo alla valutazione degli effetti economici per l’isola negli anni a venire (si pensi al dato del secondo trimestre di quest’anno - quando pur l’uscita ancora non si è realizzata - di contrazione dello 0,2% del PIL, per la prima volta  dal 2012), o ancora  in termini di riduzione dei salari reali in alcuni settori, sebbene in presenza di certi vantaggi derivanti dalla svalutazione della sterlina (compensati dall’aumento del costo delle importazioni), a seguito delle incertezze del processo di uscita, incertezze e sfiducia che riguardano fra l’altro pure la riduzione degli investimenti in formazione aziendale dei lavoratori con ulteriori effetti negativi moltiplicatori.

    La soluzione referendaria sarebbe preferibile a nuove elezioni politiche dal momento che il voto alle politiche è frutto di scelte su diverse tematiche e non può focalizzarsi solo sulla Brexit. E’ chiaro che il referendum non sarà la soluzione definitiva, dal momento che le divisioni profonde nel paese non possono essere eliminate in un istante, ma sarà un elemento importante in un processo di pacificazione nazionale, che prima o poi dovrà realizzarsi.

    Infine, il referendum darebbe conto della necessità di dar voce al futuro del Regno Unito, consentendo di votare ai tanti giovani che non potevano votare per ragioni d’età il 23 giugno 2016 ma che ora potrebbero trovarsi a dover sopportare le conseguenze di quel voto (altrui) per un tempo capace di durare una media di 69 anni, a fronte della media di 16 del tempo che riguarderebbe gli ultrasessantenni. Ultrasessantenni che restano preziosi (tanto in UK quanto in Italia); tanto più preziosi in quanto hanno il compito di esercitare la propria responsabilità intergenerazionale nei confronti di chi quella responsabilità non avrebbe a propria volta nemmeno modo di esercitarla senza un adeguato riequilibrio (si pensi ai principi articolati dalla proposta di legge popolare italiana di +Europa sui “Figli costituenti” ma si pensi, fra l’altro, al regime pensionistico).

    Nelle prossime settimane vedremo chi la spunterà quanto agli emendamenti parlamentari che mirano a chiedere, l’uno, il permanere dell’intero Regno Unito (non della sola Irlanda del Nord) nell’unione doganale europea, e il secondo l’indizione di un nuovo referendum; o se invece la spunterà il governo con l’approvazione dell’attuale accordo di recesso oppure con l’indizione di nuove elezioni politiche.

    In ogni caso deve restare alto il controllo da parte dell’Italia e dell’Unione sul riconoscimento da parte del Regno Unito dei diritti acquisiti dei nostri connazionali e degli altri cittadini europei.

     

     

  • Ilva, sugli impegni traditi il PD non deve chiedere spiegazioni, deve darle

    di Carmelo Palma

    “Numerosi esponenti del PD, tra ieri e oggi, chiedono che siano rispettati gli impegni assunti su Ilva per la prosecuzione dell’attività industriale e la salvaguardia dei posti di lavoro. Non si capisce però a chi rivolga la richiesta, se non a se stesso, visto che ad avere approvato l’abolizione dello scudo penale, proposta dal M5S, è stato anche il Partito democratico, con le altre forze di maggioranza. Il PD non deve chiedere spiegazioni, deve darle”.

    “Quello che il Parlamento ieri ha abolito era parte dell’accordo per l’attuazione del piano di risanamento, cioè era una condizione che lo Stato italiano aveva negoziato con gli investitori. Da parte del PD l’assenza di serietà è dunque doppia. In primo luogo perché parla di questa scelta come se a compierla fosse stata qualcun altro, in secondo luogo perché continua a sottovalutarne le conseguenze, che oggi non tocca certo a ArcelorMittal dovere rimediare”.

  • published La vita umana per i 5Stelle è merce di scambio in News 2022-02-01 17:07:47 +0100

    La vita umana per i 5Stelle è merce di scambio

    di Giulia Pastorella

    Ieri l’intero gruppo degli eurodeputati del Movimento 5 Stelle ha deciso di astenersi sulla risoluzione pro-ONG presentata dall’eurodeputato verde Marquardt. Un’astensione che si è rivelata decisiva, visto che la proposta è stata bocciata per soli due voti.

    La risoluzione chiedeva l’applicazione delle convenzioni internazionali sul diritto del mare, azioni concrete per svuotare i campi libici, l’apertura di un corridoio umanitario e poneva un freno a chi da mesi sta criminalizzando le organizzazioni che nel mediterraneo si fanno carico di salvare vite umane. Insomma, un manifesto di tutto ciò che è contrario alle politiche portate avanti dal recente governo gialloverde.

    Divisi tra la nuova identità di europeisti progressisti e la loro recente liaison con Salvini, i 5 stelle hanno provato a salvare capra e cavoli, presentando un emendamento che subordinava l’apertura dei porti al rispetto delle convenzioni nazionali e ad “altre norme applicabili”, ovvero i decreti Salvini. Come c’era da aspettarsi, questo emendamento è stato bocciato dal Parlamento in favore di quello proposto dai liberali, che sosteneva con ancora più chiarezza l’obbligo di aprire i porti alle navi ONG che trasportano i migranti raccolti in mare.
    Ed ecco che i grillini hanno scoperto le carte, scegliendo di astenersi sull'intera risoluzione e affossandola. Una ripicca, come ha scritto l’eurodeputata 5 Stelle Ferrara su Twitter: «È piuttosto semplice da capire: 3 emendamenti presentati, key votes per sostenere testo. Ne passa 1, dunque astensione».

    Come all'asilo: tu non mi dai la caramella, io non ti parlo più. Peccato che, invece che caramelle, stavolta in ballo ci fossero vite umane.

  • Al congresso Alde, approvate nostre risoluzioni per una democrazia davvero europea

    Grazie al voto decisivo dei delegati di Più Europa, finalmente l’ALDE ha adottato una risoluzione in favore dell’introduzione delle liste transnazionali alle prossime elezioni europee, come strumento per rendere finalmente paneuropea la politica della più importante istituzione democratica del Continente, il Parlamento Europeo.
    “È una proposta che da anni viene avanzata dai membri individuali dell’Alde e dai giovani del Lymec, ma che i partiti nazionali affiliati rinviavano puntualmente. Quest’anno, anche grazie al nostro impegno, ha prevalso il coraggio”, commenta il vicesegretario di Più Europa, Piercamillo Falasca.
    L’assemblea congressuale dell’Alde ha anche approvato due risoluzioni proposte da Più Europa: una risoluzione per il rafforzamento della democrazia in Europa, che prevede tra le altre cose l’introduzione di regole comuni in tutti i Paesi europei per le elezioni del Parlamento Europeo; una risoluzione urgente per l’apertura del negoziato di accesso alla UE della Repubblica di Macedonia del Nord e della Repubblica di Albania.
     
    Più Europa partecipa con una sua delegazione in questo fine settimana al congresso annuale dell’Alde, la famiglia liberal-democratica europea di cui è membro effettivo, in corso ad Atene.
    All’appuntamento, aperto tra gli altri dalla vicepresidente designata della Commissione UE Margrethe Vestager e dal premier lussemburghese Xavier Bettel, Più Europa ha ribadito la necessità di rafforzare in Italia e in Europa i valori della democrazia liberale, dell’innovazione, delle libertà civili ed economiche.
    “Dopo anni di assenza - commenta il segretario Benedetto Della Vedova - anche l’Italia ha una sua voce nella famiglia liberal-democratica, insieme ai liberali tedeschi, ai libdem inglesi e agli spagnoli di Ciudadanos. Più che altrove - prosegue - l’Italia ha bisogno di contrapporre una visione riformatrice, pragmatica, ecologista ed europeista agli opposti estremismi del sovranismo leghista e del populismo grillino. Proprio ieri al Parlamento europeo il M5S ha dato prova di non aver cambiato idea rispetto ai tempi dei decreti sicurezza bis, astenendosi sulla mozione sulla riforma dell’accoglienza dei migranti in Europa”.
  • L'alternativa a Salvini è liberal-democratica, non filogrillina.

    di Benedetto Della Vedova

    L’Umbria mostra ciò che doveva essere chiaro da subito: Conte poteva essere il successore ma non l’alternativa a se stesso. Più che una strategia politica, quello del governo gialloverde era il tentativo di esorcizzare la forza di Salvini. Ma l’esorcismo non funziona. È stato un errore pensare di sfidare la Lega con un Governo di totale continuità con quello gialloverde, che non abolisce quota cento, non cambia in profondità il reddito di cittadinanza, mutila la costituzione al traino dell’antipolitica grillina, continua la guerra alle ONG e ai migranti da esse salvati, fa deficit e debito e mette nuove tasse.

    Illudersi che Salvini fuori dal Viminale si sarebbe sgonfiato facilmente è stato un peccato di superbia. Più Europa aveva riconosciuto da subito questi rischi, chiedendo invece una svolta che, purtroppo, non c’è minimamente stata. Ora rimboccarsi le maniche per rafforzare uno schieramento alternativo ai nazionalisti, che consideri i populisti del M5S parimenti nemici politici: una forza europeista, liberal-democratica, ecologista, indisponibile ad arretrare sui diritti delle persone. Più Europa c’è.

  • Finite le elezioni in Umbria, si accorgono della Ocean Viking. Ora facciamoli scendere!

    di Costanza Hermanin

    Siamo contenti che Italia Viva e Pd, da Renzi a Franceschini a Delrio, si siano svegliati e oggi chiedano la soluzione per la vicenda della Ocean Viking. Peccato che abbiano atteso il risultato, fallimentare, delle elezioni in Umbria: è chiaro che non è certo facendo le politiche di Salvini che si batte Salvini. E’ da 11 giorni che 104 naufraghi sono abbandonati a loro stessi in mezzo al mare con le condizioni sanitarie che peggiorano di ora in ora. E’ arrivato il momento di farli scendere. Nonostante l’ipocrisia elettorale e Di Maio che conferma di fatto l’integrità dei decreti sicurezza speriamo che la ritrovata umanità di svariati esponenti della maggioranza, porti a una soluzione.

  • Taglio dei parlamentari senza riforma del bicameralismo: ha vinto Casaleggio

    di Piercamillo Falasca

    I punti dell’accordo della maggioranza sulle riforme costituzionali cosiddette “di garanzia”, che dovrebbero accompagnare il taglio dei parlamentari sanciscono irrimediabilmente la scelta del bicameralismo paritario come modello istituzionale. Dopo decenni trascorsi a discutere di come superare il caso unico al mondo di due camere che fanno esattamente le stesse cose, con diverse riforme tentate da più parti per una differenziazione delle funzioni di Camera e Senato, scopriamo che il bicameralismo non solo deve essere perfetto, ma perfettissimo. È la linea Casaleggio. Che fine hanno fatto le proposte che prevedevano l’istituzione di un Senato delle Autonomie, la sfiducia costruttiva, la riforma dei poteri del governo?
    A questo punto, ben venga l’iniziativa parlamentare di sottoporre a referendum la riforma che ha ridotto il numero dei parlamentari, perché i cittadini italiani hanno il diritto di essere informati e di esprimersi su questo taglio demagogico ma soprattutto sul disegno complessivo che la maggioranza sta proponendo, un indebolimento della democrazia rappresentativa e parlamentare in nome di Rousseau e dei disegni di democrazia plebiscitaria della Casaleggio e Associati”

  • Emma a Repubblica: Accordo con la Libia? E' come la trattativa Stato-Mafia

    Emma Bonino intervistata da La Repubblica sul rinnovo degli accordi con la Libia.

    "Sulla sicurezza Di Maio non ha cambiato idea, il problema è convincere la sinistra a non seguirlo"... continua la lettura

  • Le risoluzioni promosse da Più Europa e approvate al Congresso dell'Alde

    Per la prima volta, Più Europa ha partecipato da membro effettivo al Congresso annuale del partito europeo dei liberali e democratici (ALDE Party, Alliance for Liberals and Democrats for Europe). Non abbiamo presentato nostri candidati alle cariche di presidente e vice-presidenti, ma abbiamo partecipato con il massimo impegno alla costruzione delle posizioni e della linea politica del partito europeo, attraverso il lavoro condotto dai nostri delegati nei gruppi di lavoro e nell’assemblea plenaria.

    Di seguito le due risoluzioni presentate da Più Europa e approvate dal Congresso tenutosi ad Atene dal 24 al 26 ottobre 2019:

    STRENGTHENING EUROPEAN DEMOCRACY AND VALUES (Più Europa)

    ON NORTH MACEDONIA’S MEMBERSHIP IN NATO AND THE EU (Più Europa e altri partiti)
    Tra le risoluzioni presentate da altri partiti e su cui Più Europa si è impegnata, quella sull’introduzione di liste transnazionali alle prossime elezioni europee, presentata dai delegati dei Membri Individuali ALDE e approvata grazie al voto decisivo dei nostri delegati:

    ON TRANSNATIONAL LISTS

    CREATION OF A EUROPEAN RULE OF LAW MECHANISM

    Si ringraziano i delegati e i partecipanti al gruppo di lavoro (Benedetto Della Vedova, Anita Bernacchia, Francesco Condò, Gianfranco Dell’Alba, Benedetta Dentamaro, Piercamillo Falasca, Costanza Hermanin, Francesca Mercanti e Diana Severati) per il prezioso lavoro istruttorio e di produzione di contenuti.

  • Libia: intollerabile accordo con milizie legate al traffico di esseri umani

    di Benedetto Della Vedova

    Sull’accordo con la Libia bisognerebbe partire dalle modifiche per capire se è possibile fare una nuova intesa. Tutto il contrario di quello che dice Di Maio. Anche perché, in assenza di un interlocutore istituzionale affidabile, questo accordo finisce per essere con milizie che confinano con il racket e il traffico di essere umani. Questo, per un paese come l’Italia, non è più tollerabile.

    Di Maio, che vuole confermare questo accordo, si dimostra coerente: è il gemello siamese di Salvini in tutte le cose più dure e odiose fatte dal governo precedente sulla questione migranti, a partire dalla criminalizzazione delle Ong; il M5s ha difeso Salvini dal processo sulla Diciotti e gli eurodeputati grillini, esattamente come quelli della Lega, non hanno votato a favore di una risoluzione che richiamava le istituzioni europee a fare di più e meglio in relazione alla ricerca e salvataggio in mare e accoglienza dei migranti.

    Di Maio dunque non ha le carte in regole nemmeno quando chiede all’Europa di fare di più. Gli accordi di redistribuzione, purtroppo anche quello di Malta siglato dal Conte Bis, si sono rivelati inefficaci.

    Noi dovremmo trasferire a Bruxelles poteri complessivi sulla difesa dei confini esterni, anche quelli marittimi, e il ruolo di una gestione europea a tutti coloro che arrivano in Europa. 

  • Stop all’accordo con la Libia e via i decreti sicurezza

    di Costanza Hermanin 

    Bisogna abrogare subito i decreti sicurezza e cancellare gli accordi con la Libia.

    Dopo lo scandalo del viaggio in Italia di Al Bija, il capo della guarda costiera libica già accusato dall’ONU di essere un trafficante di essere umani, il Governo non può e non deve limitarsi a una promessa di modificare l’accordo con la Libia. Ci schieriamo fermamente con i parlamentari italiani ed europei che hanno già chiesto la sospensione, senza se e senza ma, dell’accordo del 2 febbraio 2017.

    Le proposte di modifica promesse dal Governo, che riguarderebbero la presenza delle organizzazioni umanitarie all’interno dei centri di detenzione, i programmi di evacuazione e rimpatrio e il miglioramento delle condizioni nei centri governativi ufficiali, sono una farsa. La maggioranza delle persone non sono in quei centri, ma nelle mani delle milizie.

    L’ONU ha già accesso ai centri governativi e ha già steso programmi di evacuazione e rimpatrio che il governo italiano ignora, concentrandosi piuttosto su finanziamenti che finiscono proprio nelle mani delle milizie, coinvolte direttamente nei lavori della Guardia Costiera. L’Italia, che come gli altri stati del mondo sostiene anche finanziariamente le Nazioni Unite per avere a disposizione l’aiuto e l’expertise tecnica delle sue agenzie specializzate,  si ostina a non seguire le loro raccomandazioni. Mentre i 150 milioni di euro destinati alla Guardia Costiera sarebbero stati meglio spesi con UNHCR.

  • Reddito di cittadinanza, un fallimento totale. Al Sud servono università e ricerca

    di Piercamillo Falasca

    Un Sud che perde un milione di abitanti ogni decennio e che rischia lo spopolamento e la desertificazione industriale è solo danneggiato da misure assistenziali come il reddito di cittadinanza.

    Per invertire la rotta e attrarre talenti e capitali, bisogna immaginare e realizzare una vera e propria rivoluzione fatta di investimenti in formazione, università, ricerca e sviluppo. Occorre decuplicare le risorse destinate alla ricerca per le imprese e le università meridionali, rendendo queste ultime luoghi attraenti per gli studenti di tutta Europa e del mondo e creando il clima favorevole alla creazione di nuove idee, imprese e business.

    Non affrontare di petto questa situazione, condannarsi a governare il Sud come il luogo del reddito di cittadinanza e dei sussidi alle imprese in crisi, significa condannare l’Italia intera a pagare e a subire il declino del Mezzogiorno.

  • published Per la libertà e l’Europa, anche in Georgia in News 2022-02-01 15:48:05 +0100

    Per la libertà e l’Europa, anche in Georgia

    di Yuri Guaiana

    Da 5 giorni centinaia di persone stanno manifestando a Tbilisi, capitale della Georgia, per elezioni anticipate e contro il Parlamento che ha bocciato degli emendamenti alla costituzione che prevedono, tra l’altro, il passaggio da un sistema elettorale misto a uno completamente proporzionale.

    L’immagine simbolo di ieri è quella della polizia che usa i cannoni ad acqua contro i manifestanti, mentre un uomo avanza sventolando la bandiera europea.

    Ma cosa c’entra l’Europa in tutto questo?

    Per capire questo bisogna tornare al giugno di quest’anno quando ero a Tbilisi per il primo pride nella storia della Georgia che è stato annullato per via delle proteste di migliaia di georgiani contro il discorso al Parlamento del deputato russo, Sergei Gavrilov, in occasione di una riunione dell'Assemblea interparlamentare sull’ortodossia.

    A Sergei Gavrilov, deputato alla Duma del Partito comunista Russo, era stata affidata la presidenza della riunione e ha potuto quindi fare il suo discorso, in russo (!), dallo scranno del presidente del parlamento georgiano, da dove era stata annunciata l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991.

    Considerando anche le tensioni relative alla presenza militare russa in Abcasia e Ossezia del Sud, è chiaro che la reazione al discorso di Gavrilov siano state fortissime, lasciando sul campo addirittura circa 240 feriti tra dimostranti e poliziotti e oltre 300 arresti tra i manifestanti.

    Quelle manifestazioni intercettavano il grande risentimento dei Georgiani verso le continue interferenze della Russia, che si traduce in un fortissimo europeismo e atlantismo, ma anche verso l’atteggiamento del partito al governo, il Georgian Dream party, che a parole è pro-EU e anti-Russo, ma che è accusato di essere, nei fatti, assai titubante.

    I partiti di opposizione hanno colto l’occasione per sollecitare riforme economiche e politiche, tra cui la riforma elettorale che appunto è state bloccata giovedì scorso.

    Ecco spiegata la bandiera europea nelle dimostrazioni di questi giorni e la dichiarazione congiunta della delegazione dell'UE e dell'ambasciata degli Stati Uniti in Georgia che «riconosc[ono] la profonda delusione di un ampio segmento della società georgiana per la mancata approvazione da parte del Parlamento degli emendamenti costituzionali» e ritengono che «L'inaspettata interruzione di questo processo [di riforma costituzionale, ndr] ha aumentato la sfiducia e ha acuito le tensioni tra il partito al potere e altri partiti politici e la società civile».

    La votazione di giovedì scorso ha anche suscitato critiche anche da parte dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (APCE).

    Sono riuscito a parlare di straforo con la mia amica Khatuna Samnidze, la leader del Partito Repubblicano, che mi ha detto che molti militanti dei partiti d’opposizione e attivisti sono stati arrestati. Nonostante i manifestanti siano stati dispersi ieri con cannoni ad acqua e gas lacrimogeni Khatuna mi ha detto: «le manifestazioni continueranno, tutta l’opposizione e la società civile sono unite».

  • Oggi è il Transgender Day of Remembrance: in 10 anni oltre 3mila transgender uccisi

    di Giulia Pastorella

    Oggi ho ricevuto un messaggio dal Regno Unito. Una ragazza mi ha chiesto di dare voce a lei e a milioni di altre persone transgender come lei, che ogni giorno devono lottare contro il resto della società per essere riconosciute. Perché proprio oggi?
    Perché oggi è il Transgender Day of Remembrance #TDoR, il giorno in cui si ricordano le vittime dell’odio e del pregiudizio anti-transgender. Pensate che negli ultimi 10 anni (tra gennaio 2008 e settembre 2019) sono state uccise in tutto il mondo 3.314 persone transgender o gender-diverse.

    Solo una società in grado di accettare le individualità, con le proprie diversità e preferenze, può dirsi matura. In Italia, purtroppo c'è ancora molto da fare. Per cambiare genere ed essere riconosciuto come maschio o femmina sui documenti, una persona transgender deve necessariamente sottoporsi ad un intervento di ricostruzione genitale. Nel 2013 il senatore del PD Sergio Lo Giudice, presentò un ddl per mettere fine a questa ingiustizia e aprire in modo più forte all'autoderminazione di genere, ma il tutto si arenò nella scorsa legislatura.

    Poiché ritengo che un argomento come questo meriti spazio nel dibattito pubblico, ho accolto con piacere l’invito di dare visibilità a questa ricorrenza, importante e significativa per una comunità minacciata e sempre in pericolo.

    Per chi fosse interessato a parteciparvi si terranno eventi in diverse città d'Italia, ve ne segnalo alcuni:
    Bologna, mercoledì 20/11: TDOR Bologna - 20/11 MIT + Gruppo TRANS in Piazza del Nettuno
    Milano, giovedì 21/11: Transgender Day Of Remembrance in Piazza Scala
    Roma, venerdì 22/11: TDoR 2019 - Una Lezione contro la Transfobia al #Rainbowall di Via Galvani, 51F

  • Sciascia e la battaglia per il diritto, trent’anni dopo la sua morte.

    di Emma Bonino

    Tra i tanti scrittori che sono stati parlamentari, Leonardo Sciascia è stato di tutti il più intimamente politico, come politica è stata tutta la sua letteratura, anche quando raccontava, nella forma del giallo, dell’apologo o della “cronachetta”, la storia di personaggi d’invenzione o di figure nascoste nelle pieghe della storia letteraria e civile.

    Da "il contesto" a "Todo Modo", dal "Candido" a "L'affaire Moro" Sciascia ha saputo prevedere e leggere con grande anticipo la crisi della Prima Repubblica e dei due maggiori partiti, la DC e il PCI, che erano protagonisti della nostra democrazia bloccata, detenendo l'uno per decenni il monopolio del governo e l'altro quello dell'opposizione. In quel fallimento, in quella incapacità di assicurare una alternativa democratica e di promuovere il rinnovamento politico, è l'origine dei nostri problemi attuali, che si ripropongono ogni volta in maniera sempre più drammatica. Avversario intransigente del compromesso storico e di ogni consociativismo nella gestione del potere, Sciascia negò sempre di avere particolari doti profetiche, rivendicando per sé, come avvenne nella tragica vicenda di Aldo Moro, solo la capacità di saper guardare in faccia la realtà.

    La sua passione per la giustizia, non come potere, ma come garanzia dall’arbitrio di qualunque potere – a partire da quello giudiziario – ha costituito tanto la trama dei suoi libri, quanto quella del suo impegno pubblico. Questa passione gli ha fatto incrociare – mi verrebbe da dire: inevitabilmente –la storia radicale e lo ha portato con i radicali a combattere battaglie impopolari e coraggiose, come sul caso Tortora, fondate sempre sul primato del diritto e della ragione e su una resistenza illuministica a ogni conformismo e a ogni pregiudizio, non solo negli avversari politici.

    A trent’anni dalla sua morte, l'idea della giustizia in Italia è rimasta quella di cui Sciascia ha sempre denunciato la sinistra parentela con la cultura dell'Inquisizione, in cui finiscono impigliati molti suoi personaggi letterari. Chi si sforza di raccogliere il testimone del suo impegno, prima di omaggiarne la grandezza, dovrebbe oggi onorarne il pensiero, che rimane ostinatamente eretico e contrario a quello prevalente.

    Per parte mia, continuo a pensare che il modo migliore per dare seguito agli insegnamenti di Sciascia sia lottare ogni giorno in Parlamento contro una deriva che pare inarrestabile, tra fine “pena mai” e “fine processo mai”, e magistrati e pubblici accusatori trasformati, nel Parlamento e non solo, in giustizieri e vendicatori del popolo.

  • Da Più Europa una ragionevole correzione strutturale alla manovra. Attendiamo il governo alla prova dei fatti

    “Le migliaia di emendamenti presentati dalla maggioranza alla legge di bilancio dimostrano non solo che non c’è alcuna coesione all’interno della compagine di governo, ma che, al di là delle belle parole, la trattativa si sposta su una miriade di interventi particolaristici e micro-settoriali e non su una valutazione complessiva dell’impatto del provvedimento.

    Piu’ Europa, al contrario, ha presentato in soli cinque emendamenti una ipotesi di correzione strutturale della proposta del governo: abolizione di quota 100 e reddito di cittadinanza per finanziare strumenti di welfare innovativi (un voucher universale per le spese di cura delle famiglie, un fondo alloggi per studenti fuori sede) e interventi sulla formazione, la digitalizzazione, l’industria 4.0 e la transizione ecologica. Quindi, una riduzione di tre punti dal 23 al 20% della prima aliquota Irpef con le risorse che derivano dalla legalizzazione della cannabis e una riduzione del deficit programmato dal Governo, attraverso la regolarizzazione dei lavoratori stranieri.

    Non si tratta - ci tengo a ricordarlo - del 'nostro bilancio', che avrebbe al centro la riduzione del debito pubblico, che ancora oggi Cottarelli denuncia come il principale fattore di rischio economico. Si tratta di una proposta di ragionevole correzione della proposta del Governo.

    Temo però che la disponibilità del governo Conte II a discutere di vere riforme sia pari a quella dimostrata lo scorso anno dal Governo Conte II. Attendiamo la prova dei fatti per vedere se la serietà sarà diversa".

  • Apriamo la porta al futuro: finanziamo l'Intelligenza Artificiale e la digitalizzazione

    di Valerio Federico e Paolo Costanzo

    L’Italia è uno dei 6 stati membri dell’Unione Europea che non ha ancora presentato la strategia nazionale sull'Intelligenza Artificiale, il 30 giugno era il limite posto dalla Commissione.

    I governi Conte si distinguono, ancora una volta, nel rapporto con l’Unione su temi centrali per la crescita del Paese. Gli Stati membri hanno sviluppato le loro strategie nazionali per l’AI (Artificial Intelligence), delineando i livelli di investimento e le misure di attuazione. L'Italia ha individuato un gruppo di 30 esperti che ha elaborato un documento che è ancora in consultazione pubblica.

    Francia, Germania, Regno Unito, Finlandia, Belgio e altri Paesi non solo hanno presentato la strategia alla Commissione, ma hanno già cominciato ad attuare il piano operativo pluriennale destinando ingenti risorse alla sua realizzazione.  La presidente Von der Leyen ha indicato l’AI come una delle priorità dell’agenda della Commissione.

    L'Italia è da anni tra i fanalini di coda mondiali nella “National absorptive capacity” (Nac), l'indicatore che misura la capacità di assorbire le innovazioni tecnologiche e godere dei benefici che ne derivano. Le applicazioni dell’intelligenza artificiale possono essere infinite: dall'industria alla medicina, dalla finanza, alla pubblica amministrazione. Con l’AI i posti di lavoro nelle fabbriche aumentano. Investire in intelligenza artificiale vuol dire investire in lavoro e produttività, che è ferma solo in Italia impedendone la crescita.

    +Europa presenterà un emendamento che prevede l’investimento di 4 miliardi per il 2020 in digitalizzazione e Intelligenza Artificiale eliminando “quota 100”, Germania e Francia 3 miliardi all'anno dal 2020 al 2022, il governo Conte l'irrisoria cifra di 100 milioni nel 2020, aggiungendo nel 2021 e nel 2022 sconti fiscali per 600 milioni l’anno, chiudendo così, ancora una volta, la porta alla crescita.